Un sincero ringraziamento a tutti gli Amici, i Parroci, le Arciconfraternite e gli Ordini Religiosi che hanno consentito la realizzazione di quest’articolo con le loro autorizzazioni. Entrerò nello specifico man mano che l’articolo andrà sviluppandosi.
L’articolo odierno comincia con una necessaria premessa: nel corso della narrazione verrà spesso usato il termine “Croce Templare”. Con ciò non si vuole sottintendere o addirittura ipotizzare, né tantomeno confermare, una presenza dei Cavalieri Templari in Sardegna e a Cagliari in particolare. Si tratta solo della conformazione di una specifica tipologia di Croce, formata dall’incrocio di 5 coppie di cerchi concentrici e avente quindi i terminali dei bracci a mezzaluna, oppure formata dagli stessi 5 cerchi nei cui incroci è inscritto un quadrato in modo che i terminali della Croce risultino dritti: in questo caso la Croce Templare viene annoverata nella più ampia categoria delle “Croci Patenti”, dal latino patens, ovvero “che si estende” poiché l’impressione è che i bracci si allarghino a partire dall’incrocio. Sono tra le croci più diffuse, anche perché la prima delle due forme è quella che maggiormente consente l’incisione della Croce all’interno di elementi circolari in materiali diversi o in cerchi dipinti direttamente sulla parete.

Composizione delle Croci Templari
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Le Croci di Consacrazione sono dei manufatti particolarmente importanti all’interno di una chiesa, sebbene spesso possano passare quasi inosservate per la loro modesta dimensione oppure perché è ricorrente l’usanza di affiggere al muro le Stazioni della Via Crucis proprio in loro corrispondenza facendo pensare, a un profano, che facciano parte del rito religioso quaresimale. Il numero delle Croci può variare a seconda della simbologia adottata in base anche alla disponibilità di spazi o alla conformazione planimetrica della chiesa: possono, infatti, essere quattro come gli Evangelisti; sei come i giorni attivi della Creazione e nello specifico il sesto, ossia il giorno in cui venne creata l’umanità; otto, ovvero i sette giorni della Creazione (i sei giorni attivi e il settimo, il giorno in cui Dio si riposò) cui va ad aggiungersi l’ottavo giorno, quello della Resurrezione; le croci possono arrivare a un massimo di dodici, come il numero degli Apostoli. In molti casi, sotto le croci, si trovano dei piccoli candelieri.

Un esempio di posa della prima pietra, per la costruzione della Chiesa di San Francesco (1952)
Dal punto di vista simbolico/costruttivo rappresentano il più importante degli elementi: se la benedizione e la posa della prima pietra rappresentano l’inizio della costruzione, l’apposizione delle croci di consacrazione è il momento in cui la chiesa compie il passaggio da una struttura terminata a un edificio sacro (pertanto, degno di ospitare il Santissimo Sacramento al suo interno), poiché le croci venivano apposte esattamente nei punti della chiesa in cui, al termine della cerimonia di consacrazione, avveniva l’unzione con gli olii sacri. Le chiese potevano, nel tempo, subire più di una consacrazione: spesso dovevano essere riconsacrate a seguito di restauri che le avevano completamente trasformate nel loro aspetto, oppure ancora venivano ricostruite in seguito alla loro distruzione dopo eventi naturali o – più drammaticamente – umani, come nel caso dei bombardamenti che, con la loro violenza, non solo distruggevano il patrimonio artistico conservato nelle chiese, ma violavano la sacralità dell’edificio stesso; pertanto, le riconsacrazioni avevano lo scopo di restituire alle chiese la dignità di luoghi sacri sottratta loro da uno o più di questi eventi, come vedremo.
Purtroppo, a Cagliari non tutte le chiese più antiche hanno avuto la fortuna di conservare, nel tempo, le loro croci di consacrazione poiché in molti casi sono state eliminate con l’avvicendamento di restauri e rifacimenti, o – come anticipato – in seguito ai bombardamenti, oppure ancora con la definitiva sconsacrazione dell’edificio religioso.
La narrazione procederà ora seguendo un percorso che inizia dagli esempi più antichi tuttora esistenti fino a quelli più recenti, a prescindere dalla data di edificazione delle chiese in cui sono collocate, costituendo (o così spera il sottoscritto) un percorso ideale attraverso la storia dell’arte religiosa cittadina.
Basilica di San Saturnino (dal IV-V secolo d.C.)
La Basilica di San Saturnino viene spesso annoverata come l’edificio sacro più antico della Sardegna. La presenza, nell’isola, di edifici coevi se non addirittura più antichi rende difficile confermare, e più facile smentire, questa ipotesi. È certo, comunque, che si tratti della chiesa più antica di Cagliari ancora esistente.
L’impianto più antico del Martyrion risalirebbe ad un periodo a cavallo tra il IV e il V secolo, e la definizione latina deriva dal fatto che la chiesa originaria fu costruita sopra la tomba del giovane Saturnino, santo e martire cagliaritano. Non si tratta comunque del luogo in cui avvenne il martirio poiché la “passio di San Saturnino” identifica il luogo del martirio nell’area dell’attuale Bastione del Monserrato, su cui oggi sorge l’ex albergo Scala di Ferro. Una tradizione, riferita anche dal Canonico Spano, identificava in una pietra striata di rosso il luogo esatto dell’esecuzione di San Saturnino, presente all’interno della necropoli rinvenuta con gli scavi per la trasformazione del bastione in un parcheggio, sebbene tuttora la pietra del martirio non sia stata ancora identificata.

La Basilica di San Saturnino
La Basilica subì un primo rimaneggiamento già nel VI secolo, epoca alla quale risale il corpo centrale cupolato. In seguito a un lungo periodo di abbandono, nel 1089 i resti della basilica e dell’adiacente monastero vennero concessi dal Giudice Costantino Salusio II ai monaci vittorini che riedificarono l’edificio in stile romanico, mantenendo intatto il corpo centrale a cui vennero aggiunti i quattro bracci formanti la navata e il transetto. Per la ricostruzione della chiesa con tre navate sia nell’aula che nel transetto venne fatto abbondante uso di materiali di spoglio. Al termine dei lavori di ricostruzione la chiesa fu nuovamente consacrata nel 1119.

Presbiterio della Basilica prima del 1943. Si nota l’assenza di croci di consacrazione
Un nuovo, e ancora più lungo, periodo di abbandono cominciò quando i vittorini lasciarono il monastero e la chiesa, che entrarono a far parte del patrimonio della diocesi cagliaritana nel 1444. Da allora la chiesa si trasformò in una cava di materiali da costruzione per il restauro del Castello di San Michele e poi, nel XVI e ancora nel XVII secolo, per il restauro della Cattedrale. Successivamente, nel 1714, è testimoniata la concessione della chiesa all’ordine degli Speziali (pertanto la basilica venne co-intitolata anche ai Santi Cosma e Damiano). Ciò comportò un restauro di ciò che restava della chiesa (ossia il solo corpo cupolato e il braccio orientale della croce greca, nel quale si trovano il presbiterio e l’abside) e l’abbellimento con l’aggiunta di alcuni altari di modesta fattura, incluso l’altare maggiore scolpito da Antonio Cano nel 1810.
Ancora una volta la Basilica venne abbandonata e, nel 1943, venne colpita dai bombardamenti alleati che ne distrussero le volte (in seguito fedelmente ricostruite in parte per anastilosi e in parte con nuovi materiali).
Da questa millenaria sequenza di distruzioni e ricostruzioni dovrebbe provenire un ampio numero di riconsacrazioni e, dunque la presenza di diverse Croci di Consacrazione, eppure le uniche presenti sono quelle che risalgono alla fase di costruzione del corpo cupolato. Se si guarda all’interno della cupola, non sarà difficile notare, al di sopra delle scuffie di raccordo, delle piccole croci in pietra nera che spiccano su quella chiara della costruzione. Sono i quattro punti fondamentali che segnano il luogo della consacrazione dell’edificio del VI secolo. La loro forma è quella di una croce patente, ossia una croce greca coi bracci che si allargano a partire dall’incrocio e con terminali piatti. È chiara, qui, la simbologia numerica richiamante i quattro evangelisti. Sicuramente all’interno della chiesa furono presenti altre croci di consacrazione realizzate nei secoli successivi, ma nessuna traccia di esse è emersa nel corso dei diversi restauri o dal materiale fotografico che documenta lo stato della chiesa prima del 1943, quand’erano ancora presenti i modesti altari tardo-barocchi e la cantoria.

Basilica di San Saturnino, la cupola con le quattro croci sopra i pennacchi angolari
Cattedrale (dal 1216)
La lunga storia della Cattedrale comincia con la presa di possesso del colle di Castello da parte della Repubblica di Pisa, nel 1216, sebbene le prime notizie risalgano al 1255. La descrizione qui presente sarà condotta in modo sintetico, ma una storia più approfondita si può trovare in questa visita virtuale realizzata dal sottoscritto nel 2010 in seconda versione dopo quella del 2008. Con la costruzione della roccaforte e l’insediamento dei primi abitanti, ebbe inizio l’edificazione della prima chiesa dedicata all’Assunta. Dopo la distruzione della cittadella fortificata di Santa Igia (capitale del Giudicato di Kalari e, dunque, sede vescovile), nel 1258, la sede vescovile venne trasferita nel Castrum costruito dai pisani e la prima chiesa, ora elevata a Cattedrale, venne ampliata con la costruzione dei due bracci del transetto; il completamento dell’edificio nella sua fase gotica avvenne solo dopo la conquista aragonese con la conclusione dell’attuale cappella del Santissimo Sacramento (un tempo Cappella della Sacra Spina o, più comunemente, “Cappella Aragonese) nel 1326. Ulteriormente ampliata nel corso del XV e del XVI secolo, già a metà del ‘600 – nonostante fosse appena stato costruito l’ipogeico Santuario dei Martiri – la chiesa mostrava segni di degrado tali da condurre, nel 1669, al restauro dell’intero edificio donandogli una più attuale veste barocca. Il rifacimento si concluse nel 1674. I vari lavori di ampliamento, restauro e trasformazione a partire dal 1258 fino al 1674 vennero condotti con l’ampio uso di materiali di spoglio provenienti dalla Cattedrale di Santa Igia e poi sia dall’area del Fossario e del suo camposanto, sia dalla Basilica di San Saturnino. Uno di questi elementi di spoglio è quello che ci interessa in modo particolare e che prenderemo in esame. La Cattedrale subì sostanziali modifiche anche nei secoli successivi, con la costruzione di nuovi altari, i diversi rifacimenti della cupola e del partito decorativo delle volte della navata centrale e del transetto oltreché della cupola stessa, fino alla demolizione del prospetto barocco disegnato da Pietro Fossati e realizzato nel 1702, sostituito da un nuovo prospetto neoromanico non del tutto adeguato all’edificio e del quale si è parlato in questo articolo sulle modifiche delle facciate negli edifici cagliaritani.
Delle diverse croci di consacrazione che devono essersi avvicendate nel corso dei vari lavori e delle successive riconsacrazioni, non è rimasta traccia. Ad eccezione di un elemento di spoglio di cui si è fatto cenno poc’anzi e che si trova alla base del Campanile, sul lato di Piazza Palazzo. Il campanile è coevo alla prima edificazione della Cattedrale, ma subì anch’esso diverse modifiche nel corso dei secoli con l’occlusione delle monofore del primo ordine, l’aggiunta della cuspide, la sostituzione di quest’ultima con una più bassa e senza l’altana nel 1911, la sua eliminazione negli anni ’70 e, in seguito, con la definitiva scomparsa dell’orologio che tamponava la monofora del primo ordine già da tempo riaperta.
Alla base del campanile sono incise due croci. La prima, più piccola nelle dimensioni, si trova al centro della “canna pisana”, l’unità di misura della lunghezza in uso nella repubblica Pisana e incisa alla base del campanile come campione per le misurazioni sia nell’uso urbanistico sia nell’uso commerciale per il mercato interno alla roccaforte. La seconda croce, più grande nelle dimensioni, è incisa in un concio di materiale diverso rispetto al calcare di cui è composto il campanile: è sempre una pietra calcarea ma proveniente sicuramente da un’altra cava, poiché si presenta di colore più scuro e la superficie non incisa è trattata in modo diverso rispetto agli altri conci.

Cattedrale di Santa Maria Assunta, la croce posta alla base del campanile
È un elemento di spoglio di cui è ignota la provenienza, forse la Cattedrale di Santa Igia, o la Basilica di San Saturnino oppure proviene dalla stessa prima chiesa intitolata all’Assunta poi assurta al rango di Cattedrale, altresì potrebbe esser stata recuperata dall’area del Fossario. A dimostrazione che si tratta di un elemento di spoglio basta osservarne la parte superiore dove la croce e la losanga in cui è inserita sono tagliate di netto prima della loro conclusione. Si tratta di una Croce di Consacrazione che venne verosimilmente reimpiegata al fine di benedire il campanile piuttosto che alla consacrazione stessa della torre campanaria. La croce si sviluppa in altezza all’interno di una losanga che parte da un elemento a forma di pisside. Prima dell’innesto dei bracci e della testata – con terminali a coda di rondine – l’asta della croce si allarga a formare un cerchio interpretabile come l’Ostia Consacrata che svetta così al di sopra della sua pisside. È una rappresentazione sicuramente originale per la quale è difficile trovare un corrispettivo. Se originariamente si fosse trattato di una croce di consacrazione di una chiesa preesistente, avrebbero dovuto essere presenti almeno altre tre croci simili. Purtroppo, non esistono fonti documentarie al riguardo e anche la sua stessa conformazione rende difficile ipotizzare la data di realizzazione, sicuramente precedente al 1258; si può però stabilire il suo reimpiego appunto come elemento di consacrazione della struttura campanaria al momento stesso della sua costruzione: l’altezza a cui è posta, infatti, è tale da far pensare che al di sotto vi si sia svolto un rito sacro con l’unzione delle mura del campanile.
Colgo l’occasione per ringraziare il parroco della Cattedrale, Monsignor Alberto Pala, per avermi concesso la realizzazione di numerosi scatti anche nel braccio settentrionale del transetto (solitamente inaccessibile), che mi saranno utili per altri articoli e per la pubblicazione futura. Ringrazio anche Stefano Spanu, Sacrista della Cattedrale e un caro amico di lunga data, per la sua sempre cortese disponibilità e gli scambi di informazioni storico/artistiche costanti nel tempo.
Chiesa di San Giacomo (pre-1346)

La Chiesa di San Giacomo, 2025
La Chiesa di San Giacomo è una delle costruzioni gotico-catalane fra le più antiche e importanti della Sardegna. Insieme alla Chiesa della Trinità, ora Santuario di Bonaria, si impose da subito come uno dei modelli principali per l’architettura gotica nell’Isola. La chiesa è documentata dal 1346 nel registro delle Ordinazioni dei Consiglieri del Castello di Cagliari, ristampato nel 1927; pertanto l’edificio doveva già essere stato costruito entro tale data ed essere diventato uno dei punti di riferimento della città. Non è certo l’anno di consacrazione, che invece potrebbe corrispondere con la conclusione del complesso sacro a seguito dell’erezione del campanile che – come riporta la lapide murata alla sua base – venne costruito tra il 1438 e il 1442. È probabile che a questa data risalgano le prime croci di consacrazione, riportate alla luce con i restauri svoltisi tra il 1962 e il 1964 sotto lo strato di intonaco che rivestiva i pilastri che scandiscono la navata. Purtroppo, non tutte le croci originarie sono sopravvissute: al momento se ne contano cinque ma in origine dovevano essere 12 come il numero degli Apostoli. Si tratta di croci templari con i terminali piatti, rosse su campo azzurro dipinte entro cerchi anch’essi rossi. Nonostante i secoli trascorsi e le vicissitudini – anche tragiche – della chiesa, il loro stato di conservazione può dirsi ancora buono. Ma non furono le uniche croci della chiesa. Infatti, l’edificio venne più volte rimaneggiato: dapprima nel XV e nel XVI secolo con l’apertura delle cappelle laterali entro i contrafforti e poi nel 1630 quando la chiesa venne elevata al rango di Collegiata e arricchita di altari e stucchi barocchi.

La Chiesa di San Giacomo prima del 1943, evidenziate in rosso le croci consacrazione settecentesche
Fu infine riconsacrata nel 1781 da Mons. Filippo Melano a seguito di un ulteriore restauro (al quale si deve il rifacimento della Cappella del Crocifisso in stile tardo-barocco piemontese) e, per l’occasione, la chiesa venne completamente intonacata e affrescata, mentre i pilastri furono dipinti a imitazione del marmo. Sul luogo delle antiche croci di consacrazione quattrocentesche vennero quindi dipinte dodici nuove croci, stavolta a croce greca con terminali polilobati (dette anche “croci a boccioli”), verosimilmente rosse o di colore bruno sul fondo a finto marmo di colore più chiaro, come visibile in alcune foto d’epoca.

La Chiesa di San Giacomo prima del 1943, evidenziate in rosso le croci consacrazione postbelliche sotto quelle originarie (da “Villanova”, Silvana Editoriale)
Il 1943 fu il più devastante fra gli anni in cui Cagliari venne bombardata e i raid aerei non risparmiarono nemmeno la Chiesa di San Giacomo, colpendo in pieno la fiancata sinistra dell’edificio e portando a nuovi restauri conservativi nell’immediato dopoguerra. Le pitture tardo-settecentesche erano in gran parte andate rovinate per lo spostamento d’aria e le schegge di materiale lapideo e metallo che vi si riversarono sopra. Nonostante tutto, le prime riparazioni salvarono quanto più possibile dell’apparato barocco ma i nuovi restauri intrapresi, come detto, nel 1962 comportarono l’eliminazione di ogni residuo di affresco oltre alla demolizione dell’edicola barocca che ospitava un dipinto del Sacro Cuore e si trovava sopra l’altare maggiore, eseguita in forma di una cortina di stucco bianco e dorato analoga a quella della Vergine del Monserrato nel Duomo e alla sua gemella scomparsa dedicata a Santa Cecilia. Per dare un senso di completezza all’altare maggiore vi fu montata sopra la nicchia terminale di uno degli altari barocchi andati danneggiati dai bombardamenti. Per la riapertura al pubblico e la cerimonia di riconsacrazione vennero predisposte dodici nuove croci greche di foggia piuttosto semplice, in bronzo, e furono collocate al di sotto delle croci quattrocentesche riportate in luce dai restauri. Ma la storia delle croci di San Giacomo non si esaurì nel 1964: in seguito a nuovi restauri negli anni ’90 non solo vennero rimosse le croci più recenti, ma quelle quattrocentesche furono nascoste da una Via Crucis in bronzo con quattordici stazioni discrete nelle dimensioni e una buona qualità scultorea che, però, potevano essere collocate più in basso. I restauri più recenti degli ultimi anni hanno dotato la chiesa di una nuova Via Crucis ispirata alle icone greco-ortodosse e collocata in una posizione più bassa per poter rimettere in luce le croci del XV secolo che ora possono, finalmente, essere riammirate dopo lunghe vicissitudini.

Tre delle Croci di consacrazione originarie nella Chiesa di San Giacomo.
Complesso di San Domenico (dal 1254 al 1954)
Ben sette secoli di storia coprono l’arco di vita del Complesso di San Domenico, dall’edificazione della prima chiesa dedicata a Sant’Anna, in stile gotico italiano e in seguito parzialmente annessa al chiostro gotico-catalano, fino alla costruzione del nuovo edificio sacro in sostituzione di quanto andato distrutto coi bombardamenti alleati del 1943.
La Chiesa di San Domenico venne edificata nel primo quarto del XV secolo in stile gotico-catalano, rappresentando uno dei modelli più fulgidi dell’architettura del suo periodo. La costruzione univa canoni gotici ad elementi già marcatamente rinascimentali che ne determinarono la conclusione, il più importante dei quali fu la grande Cappella del Rosario. Le croci di consacrazione furono rimesse in luce e restaurate negli anni ’20 con i lavori di ripristino che comportarono l’eliminazione della cantoria lignea cinquecentesca che correva lungo tutto il perimetro dell’aula rendendola più angusta e buia.

Chiesa di San Domenico, pre-194. In evidenza le Croci di Consacrazione (foto Archivio Alinari)
Le otto croci templari, risalenti con ogni probabilità al XVIII secolo e coeve alla realizzazione degli altari marmorei delle cappelle laterali, presentavano terminali a mezzaluna ed erano dipinte verosimilmente in rosso su campo bianco circolare (le foto in bianco e nero non consentono di stabilirne il colore, ma il rosso fu quello più usato in assoluto), sui quattro pilastri che scandivano la suddivisione dell’aula in due campate; altre due croci erano dipinte tra la Capilla Mayor presbiteriale e le due cappelle minori ai suoi lati, mentre le ultime due erano poste al di sotto dell’arco che sosteneva la cantoria nella sua dimensione originaria.

Due immagini della Chiesa di San Domenico prima dei bombardamenti, dal Fondo Lepori dell’Archivio Storico di Cagliari. In evidenza le Croci di Consacrazione

La Chiesa Nuova di San Domenico
I bombardamenti del 1943 rasero completamente al suolo l’edificio quattrocentesco che ora funge da cripta alla nuova chiesa progettata da Raffaello Fagnoni nel 1949 e consacrata nel 1954. Per la consacrazione della Chiesa Nuova di San Domenico vennero installate all’interno dieci croci di consacrazione in bronzo: anche stavolta venne scelta la forma della Croce Templare per richiamare lo stile di quelle della chiesa distrutta. Tutta la chiesa nuova è una reinterpretazione moderna dell’aula gotica, difatti le nervature del soffitto si incrociano come i costoloni delle crociere della vecchia chiesa, irradiandosi anch’esse dalle pareti come costoloni gotici che si dipanano da peducci. I bordi delle dieci croci in bronzo sono lucidati a specchio mentre le campiture interne sono punzonate per ottenere una superficie quasi scultorea. Ogni croce è inoltre sostenuta al muro da una grande borchia centrale in forma di bocciolo. Non sono, però, le sole croci della chiesa: le ultime due croci di consacrazione (si raggiunge così il numero dodici), si trovano ai lati del portale centrale, incise nella viva pietra in forma di classiche croci latine. La scelta di incidere le croci invece di installare altre due croci identiche a quelle interne può essere spiegata o con motivi pratici, ad esempio per evitare l’ossidazione di eventuali manufatti bronzei, o più semplicemente per evitarne il furto. Anche se l’ipotesi più attendibile sia che la croce latina, sobria e dalle forme austere, si adegui meglio allo stile scabro e rigoroso dell’esterno dell’edificio.

Chiesa Nuova di San Domenico: tre delle dieci croci disposte all’interno

Chiesa Nuova di San Domenico: le due croci ai lati del portale centrale
Chiesa di San Giovanni Battista (ante 1415)

L’interno della Chiesa di San Giovanni Battista
La Chiesa di San Giovanni Battista è una delle più care alla popolazione cagliaritana poiché in essa ha sede, dal 1679, l’Arciconfraternita della Solitudine che si occupa della più importante fra le processioni della Settimana Santa cagliaritana, portando fino al Duomo i simulacri del Crocifisso e dell’Addolorata. L’Arciconfraternita era, in origine, stabilita nella Chiesa di San Bardilio poi abbandonata dopo un incendio che la distrusse parzialmente e dal quale venne tratto in salvo il bellissimo Crocifisso che viene portato in processione nei tre giorni della Settimana Santa e che è affettuosamente chiamto dai cagliaritani “Su Monumentu”, per le sue notevoli dimensioni e l’alta qualità scultorea. La Chiesa ha una sua prima menzione in un documento che risale alla metà del XVI secolo, più precisamente al 1550, ma la preesistenza della Via San Giovanni testimoniata già nel 1415 fa propendere per una datazione più antica, e forse gli ambienti della chiesa originaria sono quelli che attualmente costituiscono una cripta presente sotto l’aula, inaccessibile al pubblico e usata – prima dell’editto della Polizia Medica (per un approfondimento si rimanda all’articolo sulle necropoli cagliaritane) – per la sepoltura dei confratelli. Nel corso dei secoli la chiesa ha subito rimaneggiamenti, sicuramente in epoca controriformista perché si presenta con le caratteristiche che contraddistinguono le chiese costruite fra il XVI e il XVII secolo a Cagliari e nell’isola (un confronto utile può essere quello con la Chiesa di Santa Restituta, di San Francesco da Paola o con i nuclei originari delle Chiese di Sant’Efisio e di Sant’Antonio dei Cappuccini): si presenta infatti come un tempio ad aula unica voltata a botte, con tre cappelle per lato e presbiterio rialzato (qui in modo notevole) e senza cupola. Nel corso del XVIII secolo furono realizzati alcuni degli altari laterali mentre altri risalgono al XIX e al XX secolo, si può quindi stabilire che la chiesa ha subito diversi rimaneggiamenti nel corso dei suoi (almeno) cinque secoli di esistenza. Nel XIX secolo venne inoltre dipinta la volta, attualmente però sopravvive la sola porzione affrescata corrispondente al presbiterio, con cassettoni dipinti e una cornice dorata attorno ad un affresco che raffigura San Giovanni Battista bambino che si abbevera sulle acque del Giordano da una conchiglia che il Gesù ancora bambino gli porge. Non si hanno tracce delle croci di consacrazione che devono essersi avvicendate nella lunga storia della chiesa, ma è presente una piccola croce che potrebbe far parte del nucleo cinquecentesco della chiesa e attualmente collocata al di sopra dell’acquasantiera al lato sinistro dell’ingresso. Non è certo che si tratti di una croce di consacrazione ma, non potendo escludere che si tratti proprio di una delle croci originarie, è opportuna almeno una descrizione, seppur breve.

Chiesa di San Giovanni Battista, la Croce al lato destro dell’ingresso
Si tratta di una croce greca di tipo patente, incisa in una lastra di marmo bianco e stuccata in nero. I quattro bracci della croce non si intersecano fra loro ma risultano separati formando triangoli marcatamente separati fra loro. La posizione nella lastra di marmo fa pensare ad un’iscrizione sottostante, per cui potrebbe essere stata una croce apposta su una lapide o funeraria o quanto meno posta a commemorazione della costruzione dell’edificio come accade in altre chiese (vedremo appunto un esempio simile nella chiesa di Sant’Antonio Abate e in quella della Beata Vergine della Pietà). In questo caso le altre croci dovevano essere inserite in lastre di marmo più piccole e poste lungo le pareti della chiesa. È un dettaglio piccolo in un edificio di culto che ha una storia importante per cui sarebbe bello poterne approfondire la storia.
Un sincero ringraziamento all’Arciconfraternita della Solitudine (di cui anche i miei genitori fanno parte da decenni), per l’autorizzazione a poter scattare e pubblicare le foto nel presente articolo.
Chiesa di San Mauro (dal 1646)

La Chiesa di San Mauro ai primi del ‘900. In rosso le croci più antiche, in verde quella più recente
La chiesa di San Mauro venne edificata a partire dal 1646 su una piccola necropoli cristiana in cui, nel 1620 durante la “Ricerca dei Corpi Santi” (in parte nata dalla rivalità tra l’Arcidiocesi cagliaritana e quella turritana per il primato del numero dei santi locali), venne rinvenuto il corpo del santo martire cagliaritano Mauro. Diversi lavori di ampliamento si susseguirono negli anni, con l’apertura delle cappelle laterali e in occasione della collocazione delle spoglie di San Salvatore da Horta all’interno della chiesa nel 1717 a seguito della parziale distruzione del convento di Gesus (dove erano conservate fino ad allora) a causa dei bombardamenti dalle navi dell’esercito spagnolo, deciso a riconquistare Cagliari e la Sardegna ormai in mano austriaca dopo il trattato di Utrecht. Nel 1780 le spoglie di San Salvatore da Horta vennero poi traslate nella chiesa di Santa Rosalia, della quale si stava concludendo la riedificazione (come vedremo). Per maggiori approfondimenti su San Salvatore e le chiese di San Mauro e Santa Rosalia si rimanda a questo articolo sul trasferimento dell’altare maggiore della chiesa di Santa Rosalia a quella di Sant’Antonio a Quartu Sant’Elena. Il XVIII secolo fu quindi un periodo di innovazioni e abbellimenti all’interno della chiesa di San Mauro, con l’innalzamento di altari in marmo e il rifacimento del presbiterio. Una delle rarissime foto della chiesa così come si presentava prima dei restauri della seconda metà del XX secolo mostra la convivenza nell’area presbiteriale di due tipologie di croci di consacrazione, riferibili a due diversi interventi. Quattro piccole croci si trovavano ai lati dell’altare maggiore, sugli stipiti delle porte decorate che immettevano nel coro. Nella stessa foto, sulla destra, si scorge un’altra croce di consacrazione, più grande nelle dimensioni e probabilmente in marmo bianco, che doveva far parte di un nucleo di 8 o 12 croci più antiche relative a una riconsacrazione dopo i primi lavori di ingrandimento della chiesa nel XVIII secolo. Entrambe le tipologie di croci sono scomparse.

La Chiesa di San Mauro negli anni ’80. Sono evidenziate le croci post-belliche ora scomparse
Un’altra foto, stavolta degli anni ’90, tratta dal volume di Tatiana Kirova su Villanova (della Silvana Editoriale), qui a destra, mostra la chiesa con nuove croci di consacrazione dopo il restauro subito dalla chiesa negli anni ’60 e che privò l’edificio dell’intero apparato pittorico del soffitto (simile a quello ancora apprezzabile nella Chiesa di San Giovanni) e dell’altare maggiore in marmo spostato nell’attuale cappella di San Michele Arcangelo, la prima a destra per chi entra nella chiesa e l’unica coperta da una cupola. Le nuove croci di consacrazione erano croci greche di foggia semplice, in metallo nero, senza particolari elementi di rilievo artistico, ma significative per il ruolo che rivestivano. Ciò nonostante, con i restauri più recenti della Chiesa anche queste croci vennero eliminate e la chiesa ne risulta tuttora sprovvista.
Chiesa del Santo Sepolcro (pre-1564), Cappellone della Pietà (1689)

Interno della Chiesa del Santo Sepolcro
La chiesa del Santo Sepolcro, spesso attribuita da alcuni studiosi ai Cavalieri Templari che l’avrebbero eretta entro il primo quarto del XIV secolo, è un edificio più recente di almeno due secoli. Le prime menzioni sulla chiesa risalgono alla donazione fatta nel 1564 dall’Arcivescovo Antonio Parragues De Castillejo alla Confraternita del Santissimo Crocifisso (più nota come Confraternita dell’Orazione e della Morte), che dal 1519 aveva sede in un oratorio ipogeico nei pressi della chiesa appena costruita. L’edificio è in stile tardogotico con inflessioni marcatamente rinascimentali tanto all’interno, per le proporzioni armoniche e il ridotto slancio verticale, quanto all’esterno se si guarda al prospetto principale sul lato delle scalette che conducono al Portico di Sant’Antonio.

La grande Cappella della Pietà
La sua consacrazione ebbe luogo, quindi, intorno al 1565, ma delle croci con le quali venne officiato il rito di consacrazione non rimane traccia, né risultano croci di epoche successive legate ai rifacimenti che interessarono la chiesa fino al XIX secolo. All’interno della chiesa (raggiungibile dal prospetto laterale eretto nell’ultimo quarto dell’800 quando il cimitero della Confraternita dell’Orazione e della Morte venne trasformato nell’attuale Piazza del Santo Sepolcro) lo sguardo è attratto da subito verso la grande Cappella della Pietà, costruita tra il 1681 e il 1686 a spese del viceré di Sardegna Antonio Lopez de Ayala come ex voto per la guarigione miracolosa della figlia attribuita alla statua della Pietà tuttora custodita nel pregevole altare in stile barocco spagnolo-coloniale: la statua è di origine antica e si trovava originariamente nell’oratorio ipogeico della Confraternita; venne murata all’interno dell’oratorio quando alla Confraternita venne donata la Chiesa. Il rinvenimento del simulacro, nel 1606, venne ritenuto prodigioso e la devozione fu tale da motivare, appunto, l’attribuzione della guarigione di Donna Abelanna Lopez de Ayala. Nel 1686 la cappella, appena ultimata ad eccezione degli affreschi del XIX secolo sulla cupola, ricevette la sua consacrazione. Delle otto croci che testimoniano il rito di consacrazione attualmente se ne contano sette. Non sono dipinte sull’intonaco o apposte sulle paraste che sorreggono la cupola bensì inserite in modo originale tra le foglie d’acanto dei capitelli corinzi che sorreggono la trabeazione al di sotto del tamburo della cupola. Un capitello è mancante, e con esso la croce. Sono realizzate in forma di croce latina con terminali cuspidati e il loro colore fa pensare ad un’originaria doratura che le faceva stagliare sulla raggiera verde che diparte dall’incrocio tra i bracci e la testa di ogni croce. Al di sopra delle croci, tra le volute dei capitelli, sono presenti dei cherubini scolpiti magistralmente e con grande dovizia di particolari, come ogni elemento scultoreo della cappella che attesta la prodigalità del Viceré Lopez de Ayala per l’edificazione e la decorazione dell’ambiente sacro.

Chiesa del Santo Sepolcro, Cappella della Pietà: dettaglio delle croci scolpite nei capitelli
Basilica di Santa Croce (dal 1492)
La storia della Basilica di Santa Croce ha inizio al termine della Reconquista Spagnola, con l’editto emesso nel 1492 dal Re Ferdinando di Castiglia e dalla consorte Isabella d’Aragona col quale si decretava l’espulsione dai territori del Regno di Spagna riunificato di tutti i cittadini ebrei e musulmani che non si fossero convertiti al cattolicesimo. Dal XIII secolo a Cagliari era già documentata la Judaria, ossia il quartiere dove risiedevano gli ebrei. C’è chi fantasiosamente parla di un quartiere che occupava tutta l’area compresa tra l’attuale via Santa Croce, la via Corte d’Appello, la chiesa di Santa Maria del Monte e il bastione di Santa Croce con la soprastante ex Caserma San Carlo. Nella realtà la Judaria cagliaritana doveva avere dimensioni più modeste ed estendersi nel solo isolato compreso tra Via Santa Croce, Via Corte d’Appello e la Basilica. La sinagoga ebraica venne trasformata da subito in luogo di culto cristiano e dedicata alla Santa Croce. Dal 1530 fu sede dell’Arciconfraternita del Santo Monte di Pietà – spostatasi poi nella vicina chiesa di Santa Maria del Monte – per poi essere concessa nel 1564 ai Gesuiti che edificarono il loro collegio attiguo all’edificio e congiunto ad una seconda ala attraverso il portico che sovrasta la parte terminale di via Corte d’Appello.

Interno della Basilica di Santa Croce
Il 1661 segna una data di svolta per la piccola chiesa della Santa Croce che, grazie alla donazione testamentaria della nobildonna Anna Brondo del marchesato di Villacidro, fu ingrandita e trasformata nell’attuale Basilica almeno per quanto riguarda lo schema planimetrico poiché le vicende dell’edificio sacro si protrassero ben oltre tale data: nel 1773 la Compagnia di Gesù venne soppressa e la chiesa fu incamerata dal Regno di Sardegna per essere poi ceduta nel 1809 all’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro che ne è tuttora custode e con l’elevazione al rango di Basilica Magistrale.

Basilica di Santa Croce, la bussola con le croci ai lati
L’Ordine Mauriziano attuò un piano di restauri e riforme all’interno della Basilica, affidando a Ludovico Crespi la decorazione della volta (in cassettoni dipinti a trompe-l’œil sulla volta vera e propria, e in cassettoni in stucco sul catino absidale) mentre ad Antonio Caboni furono commissionati gli affreschi nell’abside. Durante queste opere di restauro e riforma furono rimosse gran parte delle croci di consacrazione risalenti al 1661 ad eccezione delle due tuttora presenti ai lati della bussola barocca. La qualità pittorica, decisamente inferiore rispetto a quella dei due artisti summenzionati, e lo stile stesso delle croci fanno pensare a opere risalenti, appunto, alla riconsacrazione del 1661. Si tratta di affreschi di croci templari rosse su campo bianco inserite entro cornici dipinte di forma polilobata e decorate con motivi vegetali. Al centro di entrambe le croci campeggia una stella bianca a otto punte; pertanto, sarebbe facile fantasticare su eventuali significati esoterici o pagani ma, in realtà, in questo caso è un simbolo puramente cristiano che rappresenta la Stella Maris, ossia la Stella del Mare, attributo della Vergine Maria che, come la Stella Polare, guida i fedeli nel loro cammino tra le tempeste della vita.

Basilica di Santa Croce, le due croci di consacrazione
Chiesa dei Santi Giorgio e Caterina dei Genovesi (dal 1599 al 1943)

Santa Caterina dei Genovesi tra gli anni ’20 e il 1943. In evidenza la Croce di Consacrazione
I bombardamenti alleati subiti da Cagliari durante i primi tre anni della Seconda Guerra mondiale ebbero devastanti conseguenze (in particolare quelli del 1942 e del 1943 quando i raid si estesero dalle sole infrastrutture all’intero abitato), tra queste la perdita o il danneggiamento di diversi edifici sacri e la loro ricostruzione in luoghi diversi, come vedremo anche più avanti nell’articolo.
La Chiesa dei Santi Giorgio e Caterina, più nota come Chiesa di Santa Caterina dei Genovesi o “Santa Caterina de Sa Costa” (dall’antico nome della via Manno, in cui sorgeva) fu eretta a partire dal 1599 alla presenza dell’Arcivescovo Alonço Lasso Sedeño che benedisse la prima pietra. Terminata entro il primo quarto del XVII secolo, si presentava nelle forme tipiche delle chiese controriformiste nella loro derivazione sarda: aula unica, con tre cappelle per lato, coperta da una volta a botte e senza cupola; presbiterio quadrangolare lievemente rialzato e più stretto dell’aula. Come in ogni chiesa plurisecolare, anche in Santa Caterina dei Genovesi furono apportati nel corso del tempo diversi lavori di adeguamento e abbellimento che, pur non modificandone la planimetria, ne trasformarono l’assetto interno arricchendolo di opere d’arte di grande valore potendo contare sulle consistenti finanze dell’Arciconfraternita dei Genovesi che qui aveva la sua sede storica. Gli ultimi lavori di restauro risalgono agli anni ’20 del XX secolo con la decorazione della volta della navata realizzata in cassettoni rettangolari e ispirata a quella coeva della Cattedrale. Pochissime foto testimoniano la conformazione interna della chiesa prima dei bombardamenti; da una veduta dell’interno appare evidente la presenza di una sola croce di consacrazione delle otto o dodici che dovevano essere disposte lungo l’aula. Si trattava di una grande croce greca con terminali mistilinei realizzata in metallo (verosimilmente dorato) e posta sulla a sinistra del vano presbiteriale sulla parasta che segnava l’ingresso alla terza cappella della fiancata.

Dettaglio della Croce di Consacrazione
Il suo aspetto tardo-barocco farebbe pensare ad un’opera settecentesca coeva alla realizzazione degli altari marmorei che guardavano già al neoclassicismo e dei quali restano diversi frammenti conservati nel Museo dell’Arciconfraternita dei Genovesi in via Gemelli.
I bombardamenti distrussero in modo quasi completo la Chiesa, lasciando intatti solo i vani delle cappelle mentre gli altari in esse contenuti andarono in gran parte distrutti per le esplosioni, le scheggiature e gli spostamenti d’aria. Nell’immediato dopoguerra si propose una ricostruzione in loco con uno stile diverso dal precedente, ma a questo progetto venne preferito il trasferimento della sede dell’Arciconfraternita dei Genovesi in una nuova chiesa da fabbricarsi ai piedi del Monte Urpinu, come potremo vedere in seguito.
Chiesa di Santa Lucia in Marina (dall’XI-XII secolo al 1943)
Anche la Chiesa di Santa Lucia in Marina è emblematica della trasformazione del tessuto urbano di Cagliari a seguito dei bombardamenti alleati. Costruita nel XII secolo è attestata già in un atto di donazione verso i monaci vittorini nel 1113, pertanto la chiesa si può considerare di epoca più antica. Agli inizi del XVII secolo la chiesa venne ampliata adattandola ai nuovi dettami controriformistici in modo analogo a quanto già visto per la Chiesa di Santa Caterina dei Genovesi e sullo stile di altre chiese cagliaritane coeve come Santa Restituta, la Basilica di Santa Croce, la distrutta chiesa di San Nicolò dei Napoletani, giusto per citare alcune tra le più rilevanti architettonicamente. Era quindi una chiesa ad aula unica voltata a botte con tre cappelle per lato, presbiterio quadrangolare rialzato e appena più stretto dell’aula, coperto da una cupola emisferica ancora di gusto rinascimentale e analoga a quelle della Chiesa di Sant’Eulalia e a quella di Sant’Agostino Intra Moenia.

Santa Lucia in Marina dopo i bombardamenti. In rosso le Croci di Consacrazione
Non si conosce con esattezza la data di consacrazione dell’edificio riformato, né si è certi di eventuali altre riconsacrazioni a seguito di nuovi lavori con la costruzione di altari barocchi nel corso del ‘700, la ricostruzione quasi neoclassica dell’altare maggiore. I bombardamenti colpirono la chiesa in modo meno pesante rispetto a quanto avvenne per altre chiese: una bomba sfondò in parte la cupola e lo spostamento d’aria innescato dall’esplosione danneggiò in modo non serio gli altari laterali. Tuttavia, si decise di demolire l’edificio nella speranza di realizzare al suo posto una piazza e decidendo di ricostruire altrove la chiesa: dapprima si pensò alla zona di Viale La Playa, ma l’area scelta per la nuova costruzione fu il quartiere di San Benedetto. Due delle foto d’epoca scattate immediatamente dopo i bombardamenti mostrano in dettaglio le piccole croci di consacrazione della chiesa.

Santa Lucia in Marina dopo i bombardamenti. In rosso una Croce di Consacrazione
Data la loro disposizione si può ipotizzare che in origine fossero dodici, ma nelle foto se ne riconoscono solo due, una all’angolo del vano presbiteriale e una sulla parasta destra al suo lato. Si tratta in entrambi i casi di piccole croci greche di colore scuro inserite in piastre circolari bianche (si può quindi ipotizzare che fossero incise e dipinte in lastre marmoree o ceramiche); quella all’angolo del presbiterio appare ruotata sul suo asse, forse perché in prossimità del luogo dell’esplosione.
Chiesa di Sant’Antonio Abate (dal 1674)
Uno degli esempi più singolari fra le croci di consacrazione antiche – assieme a quelle della Chiesa di San Michele Arcangelo, di cui parlerò tra poco – è quello della Chiesa di Sant’Antonio Abate.
Le origini della chiesa sono legate all’Ospedale di Sant’Antonio e all’attiguo convento degli Agostiniani e vengono fatte risalire alla prima metà del XIV secolo, sebbene gli stemmi presenti nel portico facciano ipotizzare una non precisata datazione precedente, forse il XII secolo. Nel 1638 gli Agostiniani lasciarono il convento e l’ospedale affidandolo all’Ordine dei Fatebenefratellli o, più precisamente, agli Spedalieri di San Giovanni di Dio, che finanziarono l’edificazione della nuova chiesa a partire dal 1674.

Interno della Chiesa di Sant’Antonio Abate

Sant’Antonio Abate, la lapide di consacrazione
La costruzione dovette procedere a lungo poiché la chiesa venne consacrata quasi cinquant’anni dopo, nel 1723 alla presenza del Vescovo Antonio Sellent, come attesta la lapide murata nel vestibolo. A questa data risalgono le croci di consacrazione ancora presenti nell’edificio nonostante i diversi rimaneggiamenti subiti dalla Chiesa fino al XIX secolo, ma limitati soprattutto agli altari e alla cupola. Le dodici croci di consacrazione sono disposte in sette delle otto paraste angolari che sorreggono la trabeazione e il tamburo della cupola (in una parasta invece è aperto l’accesso al pulpito che le sta davanti) mentre le altre cinque sono collocate ai lati del vano presbiteriale e ai lati delle cappelle più vicine ad esso. Le croci inserite nelle paraste seguono l’andamento angolare del supporto murario, mentre le altre sono piatte pur presentando lo stesso partito decorativo: si tratta di croci patenti con terminali a mezzaluna, dipinte in rosso con un robusto bordo bianco. Dal centro di ogni croce si irradia una raggiera rivestita in lamina d’oro (che purtroppo si è scurita col passare del tempo) e all’incrocio dei quattro bracci è scolpito un medaglione decorativo a foglie d’acanto entro il quale è presente la borchia che ancora la croce al muro, realizzata in forma di bocciolo in metallo dorato.

Chiesa di Sant’Antonio Abate, due delle Croci di Consacrazione del 1723
San Michele Arcangelo (dal 1585)

La Chiesa di San Michele Arcangelo
Sorto sul luogo di un precedente oratorio quattrocentesco dedicato a Sant’Egidio, il complesso di San Michele nacque come Noviziato dei Gesuiti nel 1585 quando la sua sede venne trasferita da Busachi a Cagliari. In questa prima fase venne realizzato un nuovo oratorio del quale si conserva tuttora il portale all’interno dell’ex Convento (divenuto dal 1866 sede dell’Ospedale Militare). L’Oratorio cinquecentesco doveva sorgere nell’area attualmente occupata dal portico del complesso religioso ed essere orientato in asse con la prospiciente via Azuni. La nuova chiesa, il cui prospetto affaccia sulla via Azuni mentre l’edificio sacro si colloca in posizione perpendicolare ad esso sul lato di via Ospedale, venne eretta a partire dal 1674 grazie al generoso lascito testamentario dell’avvocato Francesc’Angelo Dessì (di cui si è parlato nell’articolo sui busti commemorativi) e dovettero protrarsi almeno fino al 1712, data in cui venne realizzato il monumento funebre del Dessì, collocato al lato sinistro del presbiterio.

San Michele Arcangelo, il Presbiterio
La chiesa venne consacrata dopo molto tempo, come ricorda la lapide murata all’ingresso che riporta la data del 1738 alla presenza del Vescovo di Usellus-Terralba Mons. Antonio Carcassona. Le dodici croci di consacrazione della chiesa risalgono a questa data e si può notare come siano state inserite nelle già presenti paraste rudentate agli otto angoli della chiesa e nel presbiterio, appositamente scavate per realizzare l’incavo in cui alloggiare le croci, mentre altre due furono collocate nella parete d’ingresso ai lati della bussola. Al di sotto delle croci sono ancora presenti gli originali piccoli candelabri in ferro battuto, dei quali uno solo è mancante. Le croci sono realizzate con intarsi di marmo rosso sul campo ottagonale mistilineo in marmo bianco e con i bordi sottolineati da stuccature nere. La forma delle croci è assai singolare: i quattro bracci delle croci greche nascono da un fiore stilizzato posto al centro e si sviluppano come calici floreali conclusi da quattro sepali rotondi.

San Michele Arcangelo, la croce sotto la X stazione della Via Crucis
Tra le dodici croci, solo una – posta al lato destro al di sotto della decima stazione della via Crucis – presenta un’ulteriore decorazione formata da elementi floreali incisi nel marmo bianco e bordati in nero raffiguranti fiori stilizzati dai quali fuoriescono i semi. Lo stile delle croci si accorda bene con i ricchi portali marmorei che mettono in comunicazione tra loro le sei cappelle radiali e si può ipotizzare che porte e croci siano opera dello stesso ignoto maestro marmoraro.


Chiesa di San Michele Arcangelo, alcune delle dodici Croci di Consacrazione.
Chiesa di Santa Rosalia (dal XV secolo)

La Chiesa di Santa Rosalia
Le vicende costruttive della Chiesa di Santa Rosalia (come già narrato in questo articolo sul Ciborio donato a Quartu Sant’Elena) hanno origine da un oratorio quattrocentesco ceduto all’ordine dei Benedettini nel 1604 in cambio del loro convento all’interno della roccaforte di Castello. Nel 1655 i Cagliaritani si rivolsero a Santa Rosalia per la cessazione dell’ennesima pestilenza che si era abbattuta sulla città e in segno di gratitudine per la grazia ricevuta venne eretto il nuovo oratorio concesso alla Confraternita dei Siciliani. In seguito, nel 1718, la Confraternita cedette l’oratorio e l’attiguo convento ai frati minori del Convento di Gesus (rimasti senza sede dopo che il convento fu colpito durante il bombardamento dell’esercito spagnolo, dal mare, al fine di riprendere il controllo di Cagliari) a condizione che restasse l’intitolazione a Santa Rosalia. I frati commissionarono un progetto per la trasformazione dell’oratorio in una chiesa più ampia e adeguata ai canoni controriformistici, affidandone la realizzazione all’ingegnere militare Augusto della Vallea. La prima pietra fu posata nel 1741 ma i lavori si protrassero a lungo tanto che la chiesa fu inaugurata solamente nel 1780 quando non era ancora del tutto conclusa. Alla data del 1780 si possono far risalire, quindi, le dodici croci di consacrazione presenti nella Chiesa. Sei croci templari con terminali a mezzaluna – probabilmente rosse – e inscritte in cerchi, incise in lastre di marmo bianco erano disposte nelle paraste che scandiscono tuttora la navata unica della chiesa; altre due analoghe croci si trovavano al di sotto dei peducci che sorreggevano l’arco ribassato della cantoria mentre le ultime due dovevano trovarsi ai lati della bussola d’ingresso o sulla parete presbiteriale. Purtroppo, l’unica foto esistente (conservata negli ambienti conventuali) della chiesa prima dei bombardamenti del 1943 che distrussero una parte della volta prossima all’ingresso e la cantoria, oltre a danneggiare il finestrone della facciata e la statua di Sant’Antonio alla sua sinistra, non consente di stabilire con precisione l’ubicazione della nona e decima croce. I restauri postbellici, inoltre, ripristinarono l’edificio eliminando però la cantoria e tutte le croci di consacrazione presenti all’interno.

Chiesa di Santa Rosalia, l’interno prima del 1943. Evidenziate in rosso, le Croci di Consacrazione
Pertanto, delle dodici croci originarie si sono salvate solamente le due croci inserite ai lati del portale, entrambe – come quelle dell’interno – croci templari con terminali a mezzaluna incise entro cerchi di marmo bianco e, verosimilmente, un tempo dipinte con lo stesso colore di quelle interne. Attualmente sono in ottimo stato di conservazione nonostante la facciata della chiesa presenti delle reti di rinforzo per alcuni dettagli che rischiano di staccarsi ed è in attesa di restauro.
Con l’occasione ringrazio sinceramente Padre Antonio e l’ordine dei Frati Minori del Convento di Santa Rosalia per avermi concesso di accedere al convento e fotografare l’immagine d’epoca.

Chiesa di Santa Rosalia, le due Croci di Consacrazione ai lati del portale
Chiesa di Sant’Efisio (dal 1538)

Chiesa di Sant’Efisio
La storia della Chiesa di Sant’Efisio ha le sue origini in epoca paleocristiana, poiché fu edificata al di sopra di uno dei più importanti luoghi di culto per la popolazione cagliaritana: la grotta in cui fu incarcerato Sant’Efisio, ex soldato e Martire: nativo di Antiochia, soldato convertitosi al cristianesimo in Sardegna fu, dopo la prigionia cagliaritana, condotto a Nora dove venne decapitato nel 303 d.C. Probabilmente già in epoca medievale doveva sorgere un edificio religioso del quale comunque non rimane traccia. Nel 1538 venne costruito il primo nucleo della chiesa odierna, del quale rimane come unico elemento superstite il campanile, come sede dell’Arciconfraternita di Sant’Efisio (in seguito incorporata dall’Arciconfraternita del Gonfalone). Nel 1726 venne realizzato l’oratorio attiguo, su progetto dell’architetto piemontese Antonio Felice De Vicenti, che oggi forma la terza cappella della fiancata destra. Nel 1780 la chiesa venne parzialmente demolita e ingrandita secondo i canoni dell’architettura tardobarocca piemontese (il campanile rimane infatti arretrato rispetto alla facciata, nel luogo in cui si ergeva il prospetto originario al quale era affiancato).

Interno della Chiesa di Sant’Efisio
Nel 1782 la chiesa fu riconsacrata e aperta al culto. E proprio a quest’epoca risalgono le dodici croci di consacrazione ancora presenti nella chiesa, forse realizzate dalla bottega dello stesso marmoraro Giovanni Battista Franco a cui si devono l’altare maggiore, la balaustra presbiteriale, l’altare di Sant’Efisio e il pregevole reliquiario marmoreo tra la seconda e la terza cappella a destra. Le croci interne alla chiesa sono dieci, tutte uguali tra loro per forma e dimensioni: si tratta di croci templari con terminali a mezzaluna incise in lastre rotonde di marmo bianco. Ciò che è interessante osservare in queste croci è che sono state lasciate in bianco mentre il colore – a volte rosso, a volte tendente all’ocra – è steso sul campo di fondo.

La Chiesa di Sant’Efisio prima del 1943. In rosso le Croci di Consacrazione
Due delle croci sono collocate nell’Oratorio, sulle pareti laterali; nel presbiterio due croci si trovano ai lati dell’altare maggiore mentre altre quattro sono disposte sulle paraste che scandiscono la separazione tra l’aula e il presbiterio e in quelle tra la seconda e la terza campata della navata. Altre due croci invece si trovano ai lati della bussola. Le ultime due sono collocate all’esterno, sugli stipiti del portale: sebbene siano identiche nelle forme e nella campitura sullo sfondo invece che sui bracci della croce, sono di dimensioni molto più contenute per via dello spazio limitato a disposizione tra il portale ligneo e il prospetto. Sopravvissute ai bombardamenti del 1943 – che colpirono la chiesa provocando la distruzione dell’apparato decorativo della volta (in seguito ripristinato con cassettoni diversi e più moderni, rimossi poi con i restauri degli anni ’60-’70) e danni fortunatamente lievi ai pregevoli arredi – le croci sono documentate fotograficamente già nelle prime immagini scattate all’interno della chiesa agli inizi del ‘900 e prima della II guerra mondiale.
Devo qui porgere i dovuti ringraziamenti all’Arciconfraternita del Gonfalone e al suo Presidente Andrea Loi per la gentilezza con cui mi è stato concesso di accedere alla chiesa, in un giorno in cui era chiusa al pubblico, onde poter realizzare le foto per quest’articolo (e per altri che seguiranno), potendo così scattare senza disturbare i fedeli che in altri momenti sarebbero stati presenti. Grazie di cuore.


Interno della Chiesa di Sant’Efisio, alcune delle dieci Croci di Consacrazione

Chiesa di Sant’Efisio, le due Croci ai lati del Portale
Chiesa della Beata Vergine della Pietà (dal 1703)

Chiesa della Beata Vergine della Pietà, l’interno
La Chiesa della Beata Vergine della Pietà, più nota ai cagliaritani come “Chiesa delle Cappuccine”, rispetto alle altre chiese del centro storico cittadino ha una storia relativamente recente e ben precisa nelle date: il monastero delle Cappuccine sorse nel 1703 su un’area in cui non vi furono mai edifici religiosi ma che, fino a poco tempo prima, era il luogo in cui venivano eseguite le sentenze capitali, a poca distanza dalle mura di accesso al quartiere Castello. Le vicende costruttive della chiesa si svolsero pressoché contemporaneamente a quelle del monastero e l’insieme degli edifici è caratterizzato da una coerenza costruttiva e un’unità stilistica volte ad una sobrietà decorativa che si limita, all’esterno, a semplici cornici lisce lungo le aperture sia per la Chiesa che per il Convento. La chiesa dovette subire comunque lavori di adeguamento e rifacimento nel corso del secolo, poiché alla struttura settecentesca oggi si sovrappone un delicato e sobrio apparato decorativo già volto verso il gusto neoclassico. Infatti la finestra reniforme sopra il vano presbiteriale è di matrice settecentesca e fa supporre la presenza, al di sotto, di un ampio altare maggiore ligneo in stile barocco, i cui elementi superstiti possono essere identificati nelle colonne e nelle trabeazioni che oggi formano i dossali degli unici due altari laterali dell’aula dedicati alla Pietà e a Gesù Nazareno (a tal fine è utile un confronto con l’altare ligneo della Chiesa di Sant’Agostino); l’altare maggiore attuale, invece, è un’opera già neoclassica e attribuibile alla bottega di Giovanni Battista Franco che lo realizzò entro il 1811, probabilmente proprio nell’anno di consacrazione ossia il 1806 come ricorda la lapide murata alla sinistra dell’ingresso. Il Canonico Spano, inoltre, nella sua “Guida alla Città di Cagliari e dintorni” nel descrivere la chiesa annota la presenza di più altari rispetto ai tre esistenti tuttora e la decorazione delle volte – andata perduta – da parte del Caboni.
Alla stessa bottega del Franco possono attribuirsi anche le otto croci di consacrazione disposte nelle paraste che scandiscono le campate dell’aula e ai lati dell’ingresso. Sono realizzate in marmo grigio in forma di croci greche a boccioli, ossia coi terminali polilobati, di robuste proporzioni. Ogni croce è inserita su una lastra circolare di pietra trachitica incassata nel muro. Anch’esse concorrono, col loro aspetto elegante ma semplice, all’unità stilistica che caratterizza l’interno della chiesa. Devo porgere qui un ringraziamento sincero alla mia amica Silvia, titolare del sito www.mycagliari.net e autrice degli impeccabili articoli in esso pubblicati, per avermi generosamente concesso l’uso della sua foto raffigurante la lapide e la croce di consacrazione. Mi sarebbe stato impossibile, altrimenti, documentare visivamente le croci poiché sono stato allontanato in modo piuttosto sgarbato dalla persona a cui ho chiesto informazioni per l’autorizzazione ad eseguire gli scatti all’interno della Chiesa. Se mi fosse stato concesso di comunicare attraverso la ruota con una delle sorelle cappuccine del convento avrei potuto ricevere il permesso (con la loro consueta gentilezza), come già avvenuto nel 2017, data a cui risale la mia foto dell’interno qui pubblicata; purtroppo, la gentilezza non è mai scontata, soprattutto in una persona che ti allontana da una chiesa pur reggendo un rosario in mano…
Chiesa collegiata di Sant’Anna (dal XIII secolo)

La Chiesa Collegiata di Sant’Anna
La lunga vicenda storico-costruttiva della Chiesa di Sant’Anna – protrattasi così a lungo da giustificare il detto cagliaritano “Sa Fabbrica de Sant’Anna”, variante locale de “La Fabbrica di San Pietro” – ha origine nel XIII secolo, quando anche il quartiere di Stampace, o meglio la sua parte alta, venne cinto da mura da parte dei pisani che realizzarono al suo interno diversi edifici religiosi, tra cui quello dedicato appunto alla Madre della Vergine Maria. Si è parlato ampiamente della storia della chiesa di Sant’Anna sia nell’articolo sulle madri cagliaritane, del 2018, sia nel più recente articolo sul patrimonio artistico andato perduto con i bombardamenti del 1942-43. Si possono qui riassumere le fasi costruttive identificando l’area della chiesa pisana nell’attuale transetto della chiesa settecentesca: nel 1785 infatti l’edificio medievale venne demolito per far posto al grandioso tempio tardobarocco progettato dall’architetto Giuseppe Viana ispirandosi in parte al Santuario di Vicoforte per quanto riguarda l’aula ellittica, ma soprattutto alla Chiesa di San Carlo Borromeo a Vienna per il modo in cui la chiesa a pianta centrale si trasforma in una chiesa a croce latina con l’innesto del transetto e del presbiterio sull’area ellittica. La chiesa venne consacrata nel 1817 nonostante mancassero ancora entrambi i campanili (il primo, quello a sinistra, completato nel 1818 e il secondo nel 1938). All’interno vennero commissionate le pitture della cupola presbiteriale al pittore fiorentino Luigi Carneglias, al quale venne poi erroneamente attribuita l’intera decorazione della chiesa mentre, in realtà, il resto dell’apparato pittorico – pur presentando la stessa qualità e costituendo un insieme coerente stilisticamente – fu portato a termine dal lombardo Rodolfo Gambini. Fu al termine dell’esecuzione dell’apparato pittorico che la chiesa venne consacrata e furono apposte le croci di consacrazione, delle quali è impossibile precisare il numero poiché le foto d’epoca precedenti le devastazioni subite dalla chiesa con i bombardamenti del 1943 e le foto scattate immediatamente dopo, non ne consentono l’individuazione a parte una singola foto della fiancata sinistra dove la croce è ben visibile nella parasta tra l’aula ellittica e la Cappella del Beato Amedeo di Savoia.

Sant’Anna prima del 1943. Evidenziata in rosso una delle Croci di Consacrazione
Si tratta di una croce greca, patente, con i bracci culminanti in piccole cuspidi, verosimilmente realizzata in bronzo e installata nella parete con una borchia in metallo centrale appena leggibile. Al di sopra della croce, un elemento circolare fa pensare ad un piccolo candeliere curiosamente sovrapposto alla stessa anziché disposto al di sotto di essa. I restauri postbellici non ripristinarono l’apparato decorativo perduto, ma non solo: venne eliminato anche ciò che restava delle decorazioni nelle parti della chiesa non distrutte dal bombardamento. La riapertura al culto, avvenuta nel 1952, dovette prevedere una riconsacrazione; purtuttavia, non venne installata alcuna croce di consacrazione a commemorazione dell’evento, o almeno non è pervenuta ai giorni nostri.
Chiesa della Purissima (dal1554)

Chiesa della Purissima, interno
La chiesa della Purissima, in Castello, è un meraviglioso scrigno gotico che racchiude al suo interno straordinarie opere d’arte e che ha mantenuto intatto il suo aspetto originario, probabilmente (come vedremo) anche grazie a sapienti restauri occorsi a fine ‘800 o agli inizi del ‘900. Il bellissimo tempio sorge sul luogo di una precedente chiesa intitolata a Sant’Elisabetta d’Ungheria, risalente all’epoca pisana. Nel 1554, la nobildonna cagliaritana Gerolama Rams, di origine genovese, fondò il convento delle clarisse – attualmente sede dell’ordine religioso delle Ancelle della Sacra Famiglia – dove si ritirò a vita monastica. Contemporaneamente al monastero fu eretta la chiesa che presenta caratteri tipici dell’architettura tardogotica cinquecentesca riscontrabili anche nella Chiesa di Sant’Eulalia: navata unica divisa in due campate con due cappelle per lato in ogni campata (ad eccezione della prima campata in cui sono assenti la prima cappella a sinistra, per via dell’ingresso alla chiesa in posizione ortogonale all’aula, e la prima a destra dove invece si trova il vano di collegamento con gli ambienti claustrali) con Cappilla Mayor a pianta quadrangolare, più stretta dell’aula e coperta da volta a crociera stellare e gemmata.
Nei secoli la chiesa venne arricchita di opere d’arte di alto valore: al XVII secolo risale l’altare maggiore in marmo con dossale ligneo, in stile barocco di gusto coloniale; nel XVIII secolo furono eretti gli altari laterali barocchi di matrice ligure. Come detto, la chiesa subì un restauro conservativo assai lodevole per il modo in cui mantenne inalterato l’interno dell’edificio e a quest’epoca risale l’altare neogotico dedicato a Sant’Antonio da Padova, nella prima cappella al lato destro. Durante questa fase di restauro furono probabilmente eliminate delle gelosie lignee – probabilmente danneggiate dal tempo – che chiudevano le tribune affacciate sull’aula e aperte al di sopra dell’ingresso e dell’ambiente da cui si accede al convento e furono sostituite da balaustre neogotiche in cemento (in alcuni punti sono ben visibili i segni della colata nello stampo) analoghe a diversi balconi dello stesso stile presenti in città e alla balaustra che cinge la gradinata del Palazzo Civico.

Chiesa della Purissima, le due cantorie neogotiche
Questo restauro è alla base di una riconsacrazione alla quale risalgono le dodici croci disposte lungo l’aula: tre nella parete che avrebbe costituito la controfacciata se l’ingresso non fosse stato laterale, e altre nove nei pilastri che sorreggono le volte a crociera. Sono piccole Croci di Malta, ossia croci greche con terminali a coda di rondine, realizzate in bronzo e con i bracci a sbalzo in forma prismatica. All’incrocio dei bracci si trovano delle semplici borchie formate da due cerchi concentrici contenenti una sfera. Nel loro insieme e per la loro fattura, ben si adattano al conteso della Chiesa contribuendo all’armonico insieme di stili artistici succedutisi all’interno dell’ambiente gotico-catalano.
L’ordine delle Ancelle della Sacra Famiglia mi ha concesso di fotografare la chiesa in un giorno di agosto in cui era chiusa al pubblico e in cui non era esposto il Santissimo Sacramento per l’adorazione che si svolge nella chiesa ogni giorno esclusa la domenica. La gentilezza con cui sono stato accolto per effettuare gli scatti è stata enorme e commovente (avendo il sottoscritto frequentato l’asilo presso lo stesso convento) e devo ringraziare di cuore le sorelle per il privilegio così gentilmente concessomi. Un grazie sincero e sentito.

Chiesa della Purissima, quattro delle dodici Croci di Consacrazione di fine ‘800 o primi del ‘900
Chiesa di San Francesco di Paola (dal 1643)

Chiesa di San Francesco di Paola agli inizi del ‘900. In rosso sono evidenziate le Croci di Consacrazione.
La Chiesa di San Francesco di Paola, o “San Francesco al Molo” come veniva chiamata originariamente, sorse a partire dal 1643 sul sito di una chiesa più antica dedicata a Santa Teresa quando l’antica chiesetta e gli edifici intorno vennero donati ai Padri Minimi in sostituzione della loro sede originale (la chiesa dell’Annunziata) che in quell’anno fu gravemente danneggiata da un nubifragio. L’interno riprende i canoni tipici delle chiese controriformiste sorte a Cagliari e in Sardegna nel XVII secolo, ovvero un’aula unica con tre cappelle per lato e presbiterio quadrangolare rialzato, qui ampio quanto l’aula. Tuttavia, le cappelle sono poco profonde per essere definite tali e hanno più l’aspetto di nicchie con grandi e sontuosi altari. Il suo prospetto originario si affacciava sull’originaria via di San Francesco al Molo; con la distruzione delle mura della Marina e l’edificazione della Via Roma, la chiesa venne allungata di una campata e dotata di un nuovo prospetto neoclassico – ad opera dell’Ingegner Tommaso Ferraro – nel 1932 come raccontato nell’articolo sulle facciate modificate. Non è dato sapere con certezza a che epoca risalissero le croci di consacrazione al suo interno – scomparse con i restauri degli anni ’80-’90 ma di sicuro erano più antiche del 1932 poiché compaiono nelle foto dell’interno precedenti la costruzione della tribuna in legno dietro l’altare maggiore (coeva al prospetto) e anch’essa scomparsa con i suddetti restauri. Stando alle foto, dove se ne contano cinque per lato, verosimilmente dodici e si trattava di piccole croci greche, patenti, in bronzo con terminali cuspidati analoghe a quelle già viste nella chiesa di Sant’Anna.

Chiesa di San Francesco di Paola negli anni ’80. In rosso le Croci di Consacrazione. (foto da “Stampace” di T. Kirova, Editoriale Silvana)
La loro collocazione era sulle paraste ioniche che scandiscono l’aula in quattro campate e tre semi-campate, poste a metà altezza nel punto in cui le paraste apparivano ancora rudentate (ossia con dei cilindri dorati inseriti nelle scanalature) secondo un canone stilistico tipicamente tardo-barocco. Tuttora è possibile notare, in alcune paraste, il segno lasciato dalle borchie che ancoravano le croci alle paraste, sebbene siano segni appena percettibili ma testimonianza di elementi purtroppo andati perduti.
Chiesa dell’Annunziata (dal 1643 ed entro il 1645)

Chiesa dell’Annunziata, il prospetto neorinascimentale del 1914
Come detto poco fa in merito alla chiesa di San Francesco di Paola, l’ordine dei Frati Minimi ebbe la sua prima sede nell’attuale Chiesa dell’Annunziata, o meglio nel primo edificio che sorse sul luogo dell’attuale chiesa e che fu intitolato a San Francesco di Paola. Danneggiato da un portentoso nubifragio nel 1643, l’edificio venne abbandonato dai Minimi e ceduto ai Padri Scolopi che vi insediarono il noviziato mentre dal 1663 costruirono il loro convento e la chiesa dedicata fondatore dell’ordine, San Giuseppe Calasanzio, in Castello. Della chiesa cinquecentesca rimase solamente una grande cappella ottagonale che venne inglobata nel nuovo edificio, costruito fra i643 e il 1645. Nel 1871, quattro anni dopo la soppressione dell’ordine degli Scolopi e la trasformazione del noviziato in caserma dei carabinieri, la chiesa fu elevata a parrocchia succursale di Sant’Anna e poi divenne parrocchia autonoma nel 1920. Attualmente forma un’unica parrocchia con la Chiesa di San Francesco d’Assisi. Nel 1911 vennero intrapresi dei lavori di ampliamento per poter allineare il prospetto dell’Annunziata con il rettifilo del Corso Vittorio Emanuele II, creando così un’ulteriore campata (fuori asse di circa 15° rispetto all’aula originaria) e un nuovo prospetto concluso entro il 1913 su progetto dell’Ingegnere Flavio Scano (come già detto nell’articolo sulle facciate modificate). Nel 1915 venne inoltre demolita la grande cappella cinquecentesca per consentire l’allargamento e il rettifilo del Viale Merello. I restauri si conclusero nel 1933, anno in cui la chiesa venne riconsacrata da Mons. Piovella il 17 ottobre. Delle croci di consacrazione che ricordano l’evento sopravvivono solamente le due tuttora presenti negli stipiti del portale mentre non si hanno notizie documentarie circa le altre presenti all’interno. Le croci inserite all’esterno sono di fattura assai semplice, a forma di croce greca e realizzate in cemento intonacato nella stessa tonalità del portale. Un’osservazione più ravvicinata consente di rilevare come queste croci siano state realizzate con un riempimento cementizio di un elemento incavato preesistente, pertanto è possibile che già nel 1913, alla conclusione del nuovo prospetto, fossero state inserite delle croci diverse poi rimosse e sostituite per dare continuità stilistica con quelle che dovevano esser state installate all’interno e che sono andate perdute insieme a gran parte dell’apparato decorativo con i restauri degli anni ’90.

Chiesa dell’Annunziata, le due Croci di Consacrazione ai lati del portale
Chiesa di Sant’Eulalia (dal XIV secolo)

Chiesa di Sant’Eulalia
La Chiesa di Sant’Eulalia è uno dei principali luoghi di culto del quartiere della Marina e la sua storia, sebbene non limitata al solo culto cristiano, può datarsi dall’epoca romana per la presenza – al di sotto della chiesa – dell’importantissima Area Archeologica, ampia oltre 900 mq e costituente una parte dell’abitato di epoca romana in uso dal IV secolo a.C. fino all’VIII secolo d.C. con il progressivo abbandono dell’area urbana in seguito alle frequenti scorrerie e il trasferimento della popolazione nella più sicura area della scomparsa cittadella fortificata di Santa Igia (a tal riguardo si possono leggere informazioni nell’articolo su Cagliari Città Madre). In seguito al rinnovato popolamento dell’ex abitato romano di Kalari, dopo la costruzione della roccaforte di Castello (1216) e la distruzione di Santa Igia da parte dei pisani nel 1254, il quartiere Marina conobbe un nuovo sviluppo e in questa fase venne costruita una prima chiesa intitolata a Santa Maria del Porto (da non confondersi con la Santa Maria de Portu Gruttis o de Portu Salis, identificabile con la scomparsa chiesa di San Bardilio). Con il passaggio della città in mano aragonese, dal 1326, venne costruita una torre di avvistamento affiancata alla chiesa di Santa Maria del Porto e che costituì il nucleo originario dell’attuale campanile. La chiesa di Santa Maria del Porto venne demolita e sul suo sito venne edificato un tempio più grande dedicato alla patrona di Barcellona, Sant’Eulalia. L’edificio trecentesco è giunto fino a noi e ben leggibile nonostante le manomissioni degli inizi del ‘900 e si tratta di un edificio gotico catalano in linea con i dettami del nuovo stile che cominciò a influenzare i nuovi edifici cagliaritani e sardi: un’aula unica divisa in due campate voltate a crociera, Cappilla Mayor presbiteriale più stretta dell’aula e coperta da volta a crociera stellata e due cappelle per lato in ogni campata. Un successivo ampliamento vide l’apertura del vano presbiteriale per la realizzazione del coro coperto da una cupola di gusto già rinascimentale (per maggiori dettagli si rimanda all’articolo sulle cupole cagliaritane) e l’ingrandimento delle cappelle laterali rese intercomunicanti tra loro in modo da costituire due pseudo-navate laterali come avvenne anche per la chiesa di N.S. del Carmine.

Interno della Chiesa di Sant’Eulalia
Altre due cappelle vennero erette ai lati dell’ingresso, che fu quindi riformato sempre in stile gotico e un’ulteriore cappella fu realizzata al termine della pseudo-navata destra in forma di abside semicircolare. Ricchi e preziosi arredi marmorei vennero aggiunti nel corso del XVII e del XVIII secolo. Agli inizi del ‘900 la chiesa fu interessata da imponenti lavori di restauro che modificarono parzialmente l’interno, eliminando anche i peducci da cui nascono le costolonature delle volte campate (probabilmente danneggiati dal tempo e non restaurabili) e realizzando nuovi capitelli di gusto neogotico tendente al liberty nelle aperture che conducono alle cappelle laterali. Il prospetto venne ridisegnato in stile gotico catalano (per un approfondimento si veda l’articolo sulle facciate modificate) con la riapertura dell’oculo del rosone e la trasformazione della sopraelevazione settecentesca (di gusto tardobarocco) del campanile in un corpo ottagonale cuspidato che richiama le architetture gotiche nonostante di gotico non avesse mai avuto nulla. Le croci di consacrazione presenti alla chiesa fanno riferimento alla riconsacrazione seguita ai restauri, conclusi entro il 1914 e diretti dall’Ingegner Simonetti. Sono dodici croci, dieci delle quali disposte lungo l’aula e due nella controfacciata. La loro composizione è assai singolare poiché ogni croce greca è intarsiata in una formella di marmo nero polilobata che riprende la forma dei trafori del rosone gotico. I bracci delle croci, rivestite in lamina d’oro, hanno una forma curva più larga all’incrocio per restringersi a metà braccio e allargarsi nuovamente nei terminali. Le foto d’epoca attestano la loro presenza dal restauro novecentesco e le loro dimensioni discrete e la forma neogotica le armonizzano con l’interno della chiesa.

Chiesa di Sant’Eulalia: tre delle dodici Croci di Consacrazione
Chiesa di San Lucifero (dal III secolo d.C. e dal 1646 al 1682)
La chiesa di San Lucifero sorge a breve distanza dalla Basilica di San Saturnino e anch’essa venne eretta sul luogo in cui fu rinvenuta la sepoltura del Martire cui è intitolata, per la precisione San Lucifero Vescovo (di cui si è parlato anche nell’articolo sui Vescovi Dormienti) martirizzato nel 370 d.C. Il suo sepolcro fu rinvenuto nel 1623 in un sacello che oggi costituisce uno dei tre ambienti che formano la cripta della Chiesa, in modo simile a quanto accade nel Santuario dei Martiri della Cattedrale. E spesso la Chiesa di San Lucifero e la Cattedrale sono state poste a confronto perché può sembrare che la costruzione della chiesa di San Lucifero sia ispirata nelle forme e nell’assetto interno al Duomo così come rinnovato in epoca barocca. In realtà la chiesa di San Lucifero venne costruita a partire dal 1646, ben vent’anni prima che l’Arcidiocesi decidesse di restaurare la primaziale, e le somiglianze tra i due edifici sono dovute più a coincidenze stilistiche che a una reale volontà emulativa. Difatti la Chiesa di San Lucifero si impone per un carattere stilistico ancora manieristico nelle proporzioni e nell’austerità del partito decorativo, ben distante dai canoni barocchi che si possono osservare all’interno del Duomo. La costruzione della chiesa, all’epoca al di fuori dell’abitato, si concluse nel 1682 e l’edificio con l’annesso convento vennero affidati ai frati domenicani, come ricordato dal loro stemma e dai due cani (Domini Canes) scolpiti al di sopra del portale d’ingresso.

Interno della Chiesa di San Lucifero
Dal 1767 fu sede dell’ordine dei Trinitari, provenienti dalla chiesa di San Bardilio in gran parte danneggiata da un incendio, per poi venire lentamente abbandonata dal 1803. La svolta che consentì il recupero della chiesa si ebbe nel 1891 quando l’arcivescovo Francesco Gregorio Berchialla proclamò la chiesa come parrocchiale succursale della Collegiata di San Giacomo, dal momento che il quartiere di Villanova si era ormai esteso fino a lambire il colle di Bonaria e inglobando quindi l’area intorno alla Piazza San Cosimo dove sorgono la Chiesa di San Lucifero e la Basilica di San Saturnino. Restaurata nel 1924 (data in cui fui anche ampliata la lanterna della cupola) venne proclamata parrocchia indipendente nel 1925 e intitolata alla Madonna del Rimedio, in onore al simulacro custodito nell’unico altare originario della chiesa ancora esistente: un grandioso capolavoro di stile barocco-coloniale posto nel braccio meridionale del transetto. Ai restauri intrapresi nel 1925 risalgono le quattro croci di consacrazione in bronzo posizionate nei pilastri che sostengono il tamburo e la cupola. Sono quattro croci patenti con terminale a mezzaluna e dai bracci più sottili rispetto alle classiche croci templari. Nella loro semplicità appaiono eleganti e armoniche. Ogni braccio è delimitato da una doppia cornice liscia che crea un bel contrasto visivo con la superficie martellata delle campiture interne. L’incrocio dei bracci è risolto con un cerchio delimitato da un bordo liscio e un trattamento interno sempre martellato al fine di opacizzare la superficie. Il loro stato di conservazione è impeccabile anche per via di un restauro recente cui è stata sottoposta la chiesa, pur in attesa del completamento del restauro della cupola.

Una delle quattro Croci di Consacrazione della Chiesa di San Lucifero
Basilica di Nostra Signora di Bonaria (dal 1704)

Interno della Basilica di Bonaria oggi
La Basilica di Nostra Signora di Bonaria è il più grande edificio religioso della Sardegna (e il progetto originario prevedeva che fosse persino più grande dell’attuale, come narrato nell’articolo sulle Cupole cagliaritane) e le sue vicende storico/costruttive si sono protratte fino agli anni ’50 del XX secolo, risultando persino più lunghe e complesse della proverbiale “Fabbrica de Sant’Anna”. Il grandioso tempio fu progettato, infatti, nel 1703 dall’Architetto piemontese Antonio Felice De Vicenti (colonnello dell’artiglieria piemontese giunto in Sardegna per volere di Amedeo II che lo richiamò qui al fine di sistemare le nuove fortificazioni accessorie alla cittadella di Castello) e la prima pietra venne posata il 25 marzo del 1704. La guerra contro l’Austria del 1708 e quella contro l’esercito spagnolo del 1717 prosciugarono anche i fondi destinati alla costruzione della Basilica e i lavori furono temporaneamente sospesi. Si dovette attendere il 1722 per la ripresa delle opere di costruzione, quando il modellino ligneo realizzato dal laico Francesco Quintana – ospite stanziale del convento di Bonaria – fu fatto sfilare in una solenne processione. Tuttavia, i fondi continuarono a scarseggiare vista anche la mole notevole che avrebbe assunto l’edificio secondo il progetto del De Vicenti. Nel 1778 l’architetto Giuseppe Viana fu incaricato di riprendere la costruzione ridefinendo il progetto, passando dall’esuberante sontuosità barocca alla costruzione di una basilica più tradizionale e già aperta al gusto neoclassico. Anche stavolta i lavori già ripresi dovettero subire ulteriori interruzioni, soprattutto per motivi economici, lasciando la chiesa ancora incompiuta nel 1866 quando – con la soppressione degli ordini religiosi – i Mercedari furono costretti ad abbandonare il vicino convento e il complesso formato dal Santuario trecentesco e dall’erigenda basilica. Rientrati in possesso dei loro beni nel 1910 i frati e l’Arcidiocesi si adoperarono per reperire i fondi e completare la costruzione dell’edificio che fu ultimato, sotto la direzione dell’Ingegner Simonetti, nel 1918 usando per la prima volta il cemento armato nella costruzione di un edificio sacro. La Basilica venne solennemente consacrata solamente il 22 Aprile 1926 con una cerimonia officiata dal Delegato Pontitificio, il Cardinale Gaetano Bisleti.

22 Aprile 1926, Consacrazione della Basilica di N.S. di Bonaria

22 Aprile 1926, consacrazione della Basilica. In rosso, una delle croci.
Al momento dell’inaugurazione la Basilica era ancora mancante del prospetto (che verrà realizzato nel 1953 al termine dei lavori di restauro e parziale ricostruzione postbellica resi necessari dai danni provocati dalle incursioni aeree del 1943). Alla data del 1926 risalgono, quindi, le dodici croci di consacrazione di cui otto erano disposte inizialmente nei setti murari tra le cappelle delle navate laterali e quattro nei poderosi pilastri che sostengono la cupola. Con i restauri del dopoguerra e la riconsacrazione della Basilica (avvenuta contemporaneamente a quella del Santuario, l’8 dicembre del 1960) le stesse croci vennero spostate ma non sostituite, sono pertanto le originali del 1926: otto vennero disposte in coppie su due lati di ciascun pilastro che sorregga la cupola, due nella Cappella del Santissimo e altre due nelle paraste agli angoli tra il transetto e le navate.

La Basilica di Bonaria prima del 1943. In rosso, le Croci di Consacrazione
Nell’ambito delle croci cagliaritane rappresentano un unicum poiché si tratta delle sole Croci di Avellana presenti nelle chiese cittadine. La Croce di Avellana è un simbolo religioso nato, appunto, nel Monastero di Fonte Avellana (in provincia di Pesaro e Urbino) e impostosi come modello in tutta Italia per la sua eleganza stilistica e l’ampia possibilità di personalizzazione. Di base, la Croce di Avellana è una croce greca i cui quattro bracci sono formati da foglie d’acanto disposte a baccelli e culminanti in semisfere; dall’incrocio dei bracci ha origine una raggiera che, nelle diverse rielaborazioni, a volte raggiunge dimensioni notevoli.
Le Croci di Consacrazione bronzee derivanti dal modello di Avellana e realizzate per la Basilica di Bonaria hanno dimensioni contenute ma si distinguono per la loro eleganza esecutiva: ogni braccio è formato da due foglie d’acanto disposte simmetricamente in forma di volute, sulle quali si innestano le semisfere sommitali. Il raccordo tra i bracci è formato da quattro elementi formati da anelli di diverse dimensioni che si incrociano in una grande borchia in forma di bocciolo e formata da quattro petali con una perla ellittica al centro. La raggiera che nasce dall’incrocio dei bracci è formata in totale da 12 raggi (come il numero degli Apostoli) sui quali spiccano i quattro centrali di dimensioni più grandi (gli Evangelisti). Il loro stato di conservazione è notevole e, fortunatamente, non hanno risentito dei danni provocati alla basilica dai bombardamenti; pertanto, ancora oggi sono parte del pregevole arredo interno dell’edificio sacro.

Basilica di Nostra Signora di Bonaria: due delle Croci di Consacrazione in forma di Croci di Avellana
Chiesa di Sant’Agostino Intra Moenia (dal 1576 al 1580)
La Chiesa di Sant’Agostino Nuovo (o Intra Moenia) venne eretta in seguito alla demolizione della vecchia chiesa gotica di Sant’Agostino extra muros e dell’attiguo convento – su ordine del Re Filippo II di Spagna – che sorgevano, appunto, all’esterno delle mura della Marina e potevano quindi costituire un avamposto di assedio se prese d’assalto da un esercito nemico.

Interno della Chiesa di Sant’Agostino, 2025
Della chiesa originaria rimase in piedi solo una piccola parte della navata laterale destra trasformata in una chiesetta extra-urbana a sua volta scomparsa nel 1899 con la costruzione del Palazzo Accardo. Sopravvisse solo la cripta nella quale riposarono le Spoglie di Sant’Agostino da Ippona tra il 504 e il 722 (per un approfondimento si rimanda all’articolo sui Vescovi Dormienti). A titolo di risarcimento, fu lo stesso sovrano a finanziare la costruzione di una nuova chiesa e di un nuovo convento per gli Agostiniani, rimasti senza sede, all’interno delle mura cittadine scegliendo come luogo l’area in cui sorgeva la duecentesca chiesa di San Leonardo. La nuova chiesa di Sant’Agostino è uno dei più fulgidi esempi del rinascimento in Sardegna e venne eretta tra il 1576 e il 1580 su progetto degli architetti ticinesi Jacopo e Giorgio Palearo Fratino i quali seguirono un’ispirazione di matrice bramantesca – sebbene i riferimenti riportati in molti testi siano rivolti al Palladio – realizzando un edificio con pianta a croce quasi greca (il braccio corrispondente alla navata è appena più lungo degli altri tre) con cupolino emisferico all’incrocio dei bracci. La cantoria, che occupa una parte della prima campata, secondo l’ipotesi avanzata dall’Architetto e Storico Giorgio Saba è un’opera di epoca posteriore databile alla fine del XVI secolo per la quale – essendo ripartite le maestranze ticinesi – furono impiegate maestranze locali ancora legate al gusto tardogotico-catalano in uno stile che ricorda le cantorie delle chiese di Santa Chiara, di Santa Lucia in Castello e quella scomparsa della chiesa antica di San Domenico.

Chiesa di Sant’Agostino: l’interno prima del 1943
A supporto di tale posteriorità, grazie alle deduzioni del Professor Giorgio Saba, basta osservare il taglio operato sui frontoni delle edicole che si affacciano sull’aula al di sotto della cantoria. In seguito alla legge sulla soppressione degli ordini religiosi, la chiesa entrò a far parte del regio demanio e ceduta poi al Comune di Cagliari: ebbe inizio così un lungo periodo di degrado almeno fino 1920, quando l’Arcivescovo Monsignor Piovella riaprì la chiesa al culto e – dopo un primo restauro – nel 1925 riconsacrò la chiesa destinandola a parrocchia indipendente. Le croci di consacrazione – rimontate negli anni intorno al 2010 – risalgono a questa riconsacrazione, mentre non si ha notizia documentaria delle precedenti sia per quanto riguarda il numero, sia per la forma o la collocazione originaria.

Chiesa di Sant’Agostino, l’interno oggi. Dal confronto con la foto precedente si nota il reinserimento delle Croci nelle loro sedi
Le stesse croci attualmente presenti compaiono nelle foto degli anni ’30 e in quelle precedenti i bombardamenti del 1943 che danneggiarono in gran parte la chiesa col crollo di un’ampia porzione della cupola e la scomparsa di parte dell’apparato decorativo ligneo (che oggi sta venendo, poco alla volta, ripristinato nel suo aspetto originario). Le dodici croci disposte lungo l’aula e nel presbiterio sono incise in lastre circolari di marmo bianco e in forma di croci templari dipinte in rosso. La loro ricollocazione recente ha seguito fedelmente la disposizione originaria e alcune delle croci mostrano scheggiature risalenti ai danni bellici sebbene il loro stato di conservazione, visto anche il restauro precedente al rimontaggio, sia impeccabile e appaiano quasi nuove alla vista.

Due delle dodici Croci di Consacrazione del 1925 recentemente ricollocate nella Chiesa di Sant’Agostino
Chiesa di Sant’Antonio da Padova e Santuario di Sant’Ignazio da Laconi (dal 1591)

La Chiesa di Sant’Antonio dei Cappuccini come appare ora, con la facciata neoromanica degli anni ’50
La storia della Chiesa di Sant’Antonio da Padova ha inizio con la fondazione dell’attiguo convento dei Cappuccini, il primo del loro ordine sorto in Sardegna nel 1591. La chiesa venne eretta negli stessi anni in cui si innalzavano le mura del monastero e fu realizzata secondo i dettami controriformistici riscontrabili nelle numerose chiese sorte a Cagliari e in Sardegna tra il XVI e i XVII secolo: un’aula unica voltata a botte e con presbiterio quadrangolare più stretto della navata e privo di cupola. La navata laterale destra fu realizzata con un ampliamento non troppo successivo alla conclusione dei lavori di costruzione e da ognuna delle sue tre campate si accede a una cappella coperta da una cupola ottagonale (come descritto nell’articolo sulle Cupole Cagliaritane). Gli arredi liturgici mostrano una successione di stili dovuti alle diverse epoche in cui furono realizzati: dalle opere pittoriche – su cui spicca la pala d’altare con l’apparizione della Vergine a San Felice da Cantalice (opera seicentesca del pittore genovese Pantaleone Calvo) – agli altari settecenteschi, il più pregevole dei quali è proprio il paliotto dell’altare maggiore realizzato da Domenico Andrea Spazzi nel 1745 posto a copertura di un sarcofago romano dedicato ad una non precisata Agnes. Numerosi altri interventi di abbellimento e decorazione si susseguirono nella chiesa, specialmente intorno all’ultimo quarto del XIX secolo quando l’intero edificio venne decorato pittoricamente in uno stile assimilabile alla mano dello stesso ignoto pittore cui venne affidata la decorazione del Santuario di Bonaria oggi rimossa. All’epoca della decorazione pittorica risalivano anche le edicole marmoree ai lati del presbiterio che incorniciavano le due nicchie ove tuttora si trovano il simulacro miracoloso della Vergine con Bambino (che parlò a Sant’Ignazio da Laconi quando si trovava nell’attuale convento del Buon Pastore attiguo alla chiesa di San Benedetto) e il bellissimo Ecce Homo di grande realismo scultoreo; parimenti alla stessa epoca risaliva il nuovo pulpito in marmo nero e bianco.
Questa nuova configurazione decorativa dovette essere alla base di una riconsacrazione alla quale risalgono le prime croci della chiesa di cui si ha documentazione fotografica: a differenza di quelle risalenti alla fondazione del tempio, andate perdute, le croci – probabilmente otto – sono infatti ben visibili in una foto degli anni ’30 che ritrae l’interno del tempio prima dei lavori di restauro e ampliamento degli anni tra il 1949 a seguito della Beatificazione di Sant’Ignazio (1940) e in vista della conseguente canonizzazione del 1951.

Chiesa di Sant’Antonio da Padova agli inizi del ‘900. In evidenza le Croci di Consacrazione
Le otto croci in marmo avevano la forma greca polilobata con i bracci in marmo nero bordati in marmo bianco, il che fa supporre la loro realizzazione ad opera dello stesso marmoraro che lavorò alle due edicole e al pulpito. La loro collocazione era predisposta nelle paraste che separano l’aula dal vano presbiteriale, nelle tre paraste al lato sinistro e nei tre pilastri sulla fiancata destra che sostenevano il peso degli archi traversi che scandiscono le campate dell’aula. Di queste croci deve permanere una testimonianza, o comunque è molto probabile che siano state conservate, poiché i monaci cappuccini hanno mantenuto negli ambienti sottostanti la chiesa (in quello che ora è il Museo di Sant’Ignazio) molti elementi che facevano parte degli arredi dell’edificio sacro e della vita quotidiana del convento. Una loro riscoperta non è quindi da escludere.

Il Santuario di Sant’Ignazio
La chiesa subì, come detto, un nuovo lavoro di restauro e ampliamento a partire dal 1949 con l’apertura della navata sinistra, sacrificando alcuni ambienti conventuali, e la realizzazione del Santuario di Sant’Ignazio nell’unica cappella della nuova navata, proprio a lato della cella in cui visse il Santo Laconese. Il Santuario costituisce quasi una piccola chiesa a sé e venne edificato su progetto dell’architetto francescano Antonio Barluzzi (per maggiori informazioni si rimanda al già citato articolo sulle Cupole Cagliaritane) e decorato nel 1966 con i bellissimi mosaici dell’artista Angelo Gatto, cui si devono anche i mosaici del nuovo prospetto (realizzato negli stessi anni) e gli altrettanto bellissimi mosaici dell’analogo Santuario costruito nella chiesa dei Santi Ambrogio e Ignazio a Laconi.

Santuario di Sant’Ignazio, una delle quattro Croci di Consacrazione
Proprio nel nuovo Santuario cagliaritano si possono osservare quattro croci di consacrazione risalenti al rito di benedizione a conclusione dei lavori per la sua costruzione (per i quali fu necessario sacrificare lo spazio aperto del piccolo chiostro del convento). Non sono semplici croci apposte su una parete o dipinte, bensì fanno parte del progetto originario del santuario e sono state intarsiate nei sobri capitelli in marmo bianco su colonne in marmo nero che sostengono il peso della cupola e formano un deambulatorio che corre attorno alla teca in cui sono esposte le spoglie di Sant’Ignazio. Le quattro croci greche si stagliano sul marmo bianco grazie alla scelta del marmo nero per la loro campitura, lievemente sporgente dal capitello e inscritta entro leggeri cerchi. A dimostrazione che si tratta a tutti gli effetti di croci di consacrazione basta osservare il fatto che non sono ripetute su tutte le facce dei capitelli (sarebbero state in totale 16) ma solo sui lati in cui avvenne il rito di consacrazione, ossia quelli che prospettano sul nucleo del santuario.

La Chiesa di Sant’Antonio da Padova come appare oggi
La consacrazione della chiesa, ingrandita e rinnovata, dovette avvenire alla conclusione dei lavori nel 1966, ma le dodici croci di consacrazione presenti sono state realizzate in epoca più tarda: risalgono infatti al 1977 e sono state realizzate in terracotta per mano della scultrice cagliaritana Anna Cabras Brundo alla quale si devono anche le quattordici stazioni della Via Crucis: è probabile che siano state realizzate in sostituzione di altre presenti provvisoriamente oppure in seguito ad un nuovo lavoro di restauro conservativo successivo. Sono semplici crochi greche realizzate lasciando la superficie scabra e ruvida, dandole quasi l’aspetto di un elemento ligneo, e sono poste al di sotto della via Crucis.

Chiesa di Sant’Antonio da Padova, le nuove Croci di Consacrazione
Chiesa Nuova di N.S. del Carmine (dal 1949 sui resti della chiesa originaria del 1550)
La Chiesa antica di Nostra Signora del Carmine fu costruita – con l’annesso convento carmelitano – nel XV secolo secondo uno schema gotico-catalano derivante dai modelli del San Giacomo in Villanova e del Santuario di Bonaria, pur con ampie concessioni a influssi già pienamente rinascimentali operati in ampliamenti del secolo successivo, come la costruzione della cappella Ripoll, ampia quanto una piccola chiesa e coperta da una bella cupola ottagonale e, in epoca successiva, la sostituzione del tetto ligneo con una volta a botte in pietra e un’alta cupola a copertura del presbiterio. Nuovi altari e nuovi arredi liturgici vennero predisposti tra il XVII e il XVIII secolo. Le foto d’epoca della Chiesa, prima della sua distruzione pressoché completa durante i bombardamenti del 1943, non mostrano tracce delle originarie croci di consacrazione.

Chiesa di N.S. del Carmine, l’interno (2010)
La nuova chiesa fu eretta sulle rovine della precedente con finanziamenti provenienti in parte dal fondo di ricostruzione e in parte dalle donazioni cittadine (si rimanda, per approfondimenti, all’articolo sulle cassette per le offerte). Il progetto fu redatto nel 1949 dall’architetto Ghigo Venturi ma giudicato in modo sfavorevole dal Consiglio Civico, per poi essere comunque realizzato a partire dal 1950. La nuova chiesa, inaugurata nel 1953, fu costruita in uno stile contemporaneo che però ha un forte richiamo storicista nei confronti dell’architettura romanico-lombarda, come mostra già la facciata a salienti in stile neoromanico e come poi è possibile osservare all’interno (attualmente chiuso in attesa di restauri) diviso in tre navate da pilastri bicromi in marmo bianco e marmo verde delle Alpi. Anche la Cappella Ripoll fu ricostruita (e anche in questo caso costituisce l’unica cappella laterale della Chiesa) mentre gli altari laterali delle navate presentano uno stile neogotico che dà l’illusione di una successione di stili avvenuta nei secoli se confrontati con l’assetto neoromanico dell’insieme e con le due tribune ai lati del presbiterio realizzate in forme neorinascimentali. L’abside fu ornata dai prestigiosi mosaici artistici di Aligi Sassu. Dodici croci di consacrazione ricordano la benedizione della Chiesa avvenuta nel 1953. Dieci croci sono poste all’interno dell’aula: due ai lati del presbiterio e otto divise nelle fiancate delle navate laterali. Si tratta di croci latine, con la testata alta quanto il fusto, con terminali a coda di rondine. Sono intarsiate in marmo nero su piccole lastre di marmo bianco più chiaro rispetto a quello che riveste le pareti. Attualmente non è stato possibile fotografarle per via della chiusura della chiesa. Altre due croci, con le quali viene raggiunto il numero degli Apostoli, ossia dodici, sono invece presenti negli stipiti del portale. Stilisticamente riprendono l’aspetto delle croci interne, ossia sono croci latine con terminali a coda di rondine ma i due bracci sono ampi quanto la testata e il fusto ha uno sviluppo assai verticale. La differenza rispetto alle croci presenti all’interno non è data solo dalla composizione ma anche dalla scelta materica: non si tratta infatti di croci in marmo nero su lastre di marmo bianco ma sono entrambe scolpite a scalpello vivo (con l’incavo intagliato a 45°) direttamente sulla pietra del portale.

Chiesa di NS del Carmine, le due croci ai lati del portale
Chiesa di San Pio X

Chiesa di San Pio X
La Chiesa di San Pio X fa parte di un notevole elenco di nuove parrocchie fatte istituire dall’Arcivescovo Monsignor Paolo Botto tra gli anni ’50 e gli anni ’60 per dare ai nuovi quartieri degli edifici di culto che ne costituissero uno dei fulcri sociali, in questo caso il quartiere di Monte Mixi che si andava sviluppando nell’area compresa tra il lungomare, Bonaria, l’Amsicora e il canale di Terramaini. Costruita nel 1956 a seguito dell’istituzione della nuova parrocchia, venne terminata appena due anni dopo e consacrata nel 1958. L’esterno è semplice fino ad apparire quasi anonimo, caratterizzato da una base in mattoni sovrastata da pannelli in muratura intonacata. Al centro del prospetto una Croce a forma di Tau è formata dalle vetrate. Sulla sinistra si innalza il campanile, tra i più alti della città, anch’esso caratterizzato dall’alternanza tra parti in mattoni ed elementi intonacati. L’interno della chiesa, ad aula unica, è tutto fuorché anonimo: nella sua semplicità si presenta solenne e luminoso, scandito in dieci campate delle quali otto formano l’aula e ospitano piccole cappelle laterali con planimetria a triangolo isoscele poco pronunciate in profondità. Le ultime due campate sono occupate dal presbiterio e dal coro, nascosto alla vista dal bellissimo (e molto criticato nel tempo) Crocifisso dipinto da Foiso Fois nel 1977.

Chiesa di San Pio X, veduta interna
Le dodici croci che commemorano la consacrazione del 1958 sono state preservate anche nel corso dei restauri che hanno consentito all’edificio di mantenere l’ottimo stato di conservazione con cui si presenta tuttora. Otto croci si trovano – quattro per lato – nei pilastri che scandiscono la navata (con un salto di un pilastro fra l’una e l’altra) e altre quattro sono presenti nei pilastri che sostengono la cupola. Sono tra i pochi esempi di Croci di Malta nelle chiese cagliaritane e sono state realizzate sul cemento probabilmente apponendovi sopra uno stampo e premendolo leggermente per creare la superficie appena incavata di pochi millimetri. Sono tutte dipinte in rosso con la loro campitura originale della fine degli anni ’50 che, in alcuni punti, è leggermente sbiadita per il passare del tempo. Non corrono tuttavia il rischio di scomparire perché l’attenzione posta nei loro riguardi anche nei recenti restauri dimostra il lodevole intento della parrocchia di mantenere intatti gli elementi della sua origine.

San Pio X, due delle dodici Croci di Consacrazione
Santuario di Nostra Signora di Bonaria (dal XIV secolo)

La torre campanaria del Santuario di N.S. di Bonaria, ex Torre di Guardia catalana
Sebbene si narri del Santuario di Nostra Signora di Bonaria solamente a questo punto dell’articolo, dato che si procede seguendo l’ordine cronologico delle Croci di Consacrazioni, la sua storia è antichissima e risale al XIV secolo e più precisamente all’insediamento aragonese nella costruenda roccaforte di Bonaria tra il 1323 e il 1326 dopo che il papa Bonifacio VIII, con il trattato di Anagni del 1298 che poneva fine alla guerra del Vespro, stabilì che la Sardegna (e anche la Corsica) con i suoi quattro giudicati erano parte delle proprietà della Chiesa e vennero concesse al Regno d’Aragona – istituendo il (vice)Regno di Sardegna e Corsica – in cambio del suo vassallaggio allo Stato della Chiesa e un compenso annuo. Con l’insediamento sul colle di Bonaria degli aragonesi e una popolazione che varia a seconda delle fonti attestandosi tra i 5000 e gli 8000 abitanti (un numero comunque ragguardevole anche al minimo) si provvide a fornire la cittadella di una sua propria chiesa, poiché la più vicina chiesa di San Bardilio, risultante extra muros, non era considerata sicura. Tuttavia, l’assedio alla cittadella fortificata pisana si concluse nel 1326 e quella di Bonaria venne abbandonata in favore del Kastrum Karali. Una parte dell’area fu donata all’ordine dei Padri Mercedari che vi costruirono il loro cenobio e l’attigua chiesa. L’edificio sacro nacque entro il 1335 e fu intitolato alla Santissima Trinità e venne edificato sfruttando una delle torri fortificatorie – a pianta semiottagonale – della cortina muraria (all’epoca aperta verso l’interno come quelle dell’Elefante e di San Pancrazio) realizzando l’abside nella sua parte inferiore e chiudendo la parte sommitale a formare il campanile e un avamposto di vedetta. Il miracoloso approdo della cassa contenente il simulacro della Vergine di Bonaria (nel 1370, quando ormai la cittadella era stata abbandonata e le sue mura demolite poiché i catalano-aragonesi si erano trasferiti nel Kastrum Kalari pisano) portò alla nuova intitolazione della chiesa, che divenne il più importante santuario mariano dell’Isola.

Il Complesso formato dal Convento, dal Santuario e dalla Basilica di Nostra Signora di Bonaria
L’edificio originario fu il modello per le successive costruzioni sacre cagliaritane come la chiesa di San Giacomo e si presentava ad aula unica mononavata con copertura lignea su archi diaframma sorretti dai pilastri che segnavano anche il limite delle cappelle laterali costruite entro i contrafforti. Nel corso dei secoli la chiesa fu modificata (si possono avere maggiori informazioni nell’articolo sulle facciate modificate) già a partire dal 1704 con l’inizio della costruzione della grande Basilica adiacente che comportò la demolizione delle cappelle laterali a destra e la costruzione di un vestibolo cupolato (si veda l’articolo sulle cupole per un approfondimento) davanti al prospetto al fine di allinearlo con quello basilicale. Nel 1895 vi fu il più ampio dei restauri che abbassò il livello della chiesa per pareggiarlo a quello della Basilica e portò ad inglobare il vestibolo d’ingresso per realizzare una nuova campata e venne eretto il nuovo prospetto neogotico a fasce bicrome di ispirazione italiana che strideva stilisticamente con il contesto catalano-aragonese del complesso. L’interno fu decorato con affreschi neogotici attribuibili allo stesso artista che operò negli stessi anni per la chiesa di Sant’Antonio dei Cappuccini, sebbene il risultato fosse di gusto mediocre e il Santuario risultasse così più scuro, quasi soffocato, anche per la presenza di tutti gli ex voto – grandi e piccoli, pittorici e scultorei – che ornavano le pareti (ora esposti tra il Museo e il Chiostro). L’ampliamento del 1895 comportò la riconsacrazione del tempio e a quest’epoca risalivano le otto croci di consacrazione dipinte nei pilastri, difficilmente visibili nelle foto d’epoca per via di tutto l’apparato di donazioni di cui si è appena fatto cenno. Tuttavia, una foto degli anni ’30 consente – con un notevole ampliamento – di riconoscere due delle croci di consacrazione ai lati del presbiterio. Si trattava di croci templari dipinte verosimilmente in rosso e blu (si nota la differenza tonale anche sul bianco e nero della foto) su campo circolare bianco con una cornice liscia e dorata. Delle croci trecentesche invece non rimase traccia, né vennero rinvenute con i restauri degli anni ’50 del XX secolo.

Il Santuario di Nostra Signora di Bonaria negli anni ’30 del ‘900. Ai lati, i dettagli di due delle croci di consacrazione del 1895

Interno attuale del Santuario di N.S. di Bonaria
A partire dal 1953 il Santuario fu, infatti, sottoposto ad un nuovo intervento di restauro con il quale fu liberato dalle pitture neogotiche e dalle stratificazioni barocche – conservando solo gli altari delle cappelle a destra, i più pregevoli – restituendo al tempio la sua dignità di edificio gotico semplice e austero come si addice ad una chiesa conventuale. Con l’occasione fu rifatto anche il prospetto (per il quale si rimanda nuovamente all’articolo sulle facciate modificate). A lavori conclusi, nel 1960, il Santuario fu nuovamente consacrato e vennero apposte delle nuove croci di consacrazione, fra le più singolari tra quelle presenti a Cagliari per la loro complessa simbologia. Non sono infatti semplici croci greche o latine, oppure templari, bensì croci latine in bronzo con terminali a coda di rondine con i terminali dei bracci e della testata sormontati da elementi circolari. Le croci si innalzano sopra i tre colli: nella simbologia cristiana racchiudono tre diversi significati. Il primo è la rappresentazione del Calvario su cui venne issata la Croce di Cristo; il secondo è invece legato alla triplice interpretazione della Crocifissione, ovvero il Sacrificio, la Speranza della Salvezza e la Resurrezione. Il terzo significato invece è dato dalla loro presenza in un ambito conventuale per cui i tre colli rappresentano i tre voti monastici di Povertà, Ubbidienza e Castità tramite i quali i monaci (e, per estensione, i fedeli) possono raggiungere Cristo rappresentato dalla Croce. Ma quelle del Santuario di Bonaria presentano un ulteriore elemento che le contraddistingue: infatti le Croci non svettano direttamente sul più alto dei colli, ma sono raccordate ad esso attraverso elementi scultorei in forma di onde stilizzate in un chiaro richiamo alla tempesta che condusse al prodigioso approdo del Simulacro di Nostra Signora di Bonaria nel lido all’epoca sottostante il colle. L’insieme delle due onde speculari forma quasi la forma di una lira e l’aspetto è notevole per l’eleganza del risultato che per le dimensioni.

Santuario di Nostra Signora di Bonaria: tre delle dodici Croci di Consacrazione del 1958
Oratorio del Sacro Cuore di Gesù (1959)
L’Oratorio del Sacro Cuore sorse contemporaneamente all’adiacente Asilo Carlo Felice – di cui costituisce la Cappella – istituito nel 1854 con i fondi stanziati dal Re per l’assistenza all’infanzia. L’Asilo, edificato nella Via San Giacomo a poca distanza dalla Chiesa di San Domenico, fu costruito a partire dal 1856 così come la Cappella. Le poche foto d’epoca mostrano l’esterno della sola scuola, mentre non si hanno documenti circa la conformazione originaria della cappella, che si può immaginare votata ad un sobrio stile neoclassico come quello che caratterizzava l’Asilo prima della devastazione operata dai bombardamenti del 1943. L’area in cui sorgeva l’istituto infatti fu una delle più colpite dai raid aerei, ne è un esempio significativo fu la distruzione della chiesa antica di San Domenico.

Oratorio del Sacruo Cuore di Gesù: veduta interna degli anni ’80 dal volume “Villanova” di T. Kirova (Editoriale Silvana). In rosso, le croci di consacrazione
La ricostruzione del complesso del Sacro Cuore ebbe inizio nel 1952 mentre la nuova cappella fu consacrata nel 1959. Il piccolo tempio si presenta con una semplice facciata a salienti nella quale risaltano un portale con frontone timpanato e un oculo circolare bordato da una fascia di cemento liscio. Il prospetto termina con un frontone a timpano entro cui è inserita un’edicola attualmente vuota. L’interno è sobrio e dall’aspetto moderno, in forma di aula unica con abside semicircolare e illuminata da tre oculi analoghi a quelli del prospetto sul lato della via San Domenico nel suo tratto terminale. All’interno erano poste otto croci di consacrazione che ricordavano il rito di benedizione del tempio del 1959 ed erano realizzate in forma di semplici croci greche in bronzo e costituivano gli unici elementi decorativi nelle pareti interne della chiesuola. Attualmente l’oratorio è chiuso al culto e viene utilizzato per eventi culturali, spesso venendo dato temporaneamente in gestione ad Associazioni. La dismissione come luogo di culto ha comportato la rimozione delle croci, proprio come nel caso di una sconsacrazione, che però sono state conservate nella possibilità di una riapertura al culto religioso della piccola chiesa.
Da questo punto in poi, l’articolo proseguirà fino al suo termine parlando esclusivamente delle chiese sorte in epoca postbellica e presentanti ancora le loro croci di consacrazione originarie.
Chiesa di San Paolo (dal 1955)
La Chiesa di San Paolo è il terzo polo religioso del popoloso quartiere di San Benedetto ed è una delle parrocchie nate per volere dell’Arcivescovo Paolo Botto. Si pone al limite nord del quartiere e, insieme alle altre due parrocchiali (Santa Lucia in via Donizetti e San Benedetto in Via Verdi) costituisce un unico asse di chiese che corre in adiacenza all’arteria principale del quartiere, la Via Dante Alighieri. L’edificio sorse a partire dal 1955 come seconda sede per la comunità dei Salesiani di San Giovanni Bosco e venne terminata nel 1959. La sua consacrazione avvenne alla presenza dello stesso Mons. Botto il 20 maggio 1961.

Chiesa di San Paolo
L’esterno dell’edificio è votato alla massima sobrietà geometrica e si distingue per il portico a tre luci e per una vetrata di forma pressoché rettangolare con un elemento terminale a cuspide, iscritta all’interno di un cerchio in piastrelle di granito appena più scuro rispetto a quello che riveste il resto della facciata. L’interno, pur nella sobrietà dell’insieme, ha una sua dignità architettonica e artistica. Ha un forte sviluppo verticale ed è diviso in tre navate, di qui quella centrale molto ampia in confronto alle strette navatelle laterali, divise in sette campate da pilastri azzurri che sostengono delle nervature geometriche in cemento armato, intonacato nella stessa tonalità azzurra, a richiamare le volte di una chiesa gotica.

Chiesa di San Paolo, l’interno
Nei setti murari al di sopra delle aperture tra le navate è realizzata un’artistica via Crucis in mosaico. Il presbiterio è profondo, quadrangolare, e – in omaggio alla tradizione gotica cui sembra rifarsi l’intero edificio moderno – è più stretto e più basso dell’aula. Le dodici croci di consacrazione sono poste nelle fiancate delle navate laterali e sono appena visibili data la loro collocazione in un punto molto alto della muratura (e per la presenza di moderni climatizzatori che stonano con l’interno ma che si rendono necessari nelle calde estati cagliaritane).

Chiesa di San Paolo, una delle dodici Croci di Consacrazione
Si tratta di dodici croci templari realizzate in ottone e ancorate al muro tramite una piccola borchia centrale. I bracci hanno i terminali a mezzaluna, vista anche la forma circolare delle piastre entro cui sono realizzate, e sono lucidati a specchio. Il campo di fondo invece è stato lavorato a martello per ottenere una superficie opaca che mettesse in risalto il lieve rilievo dei bracci.
Chiesa di Cristo Re (dal 1° Gennaio 1950)

Chiesa di Cristo Re
La Chiesa di Cristo Re fu il primo tra i nuovi edifici di culto del nascente quartiere di Monte Urpinu, alle pendici dell’omonimo colle. Sorse nella parte terminale dell’area nota come “Su Baroni” poiché un tempo di proprietà dei baroni Sanjust di Teulada. La posa della prima pietra avvenne proprio con l’inizio dell’Anno Santo 1950, appunto il 1° Gennaio, ma la costruzione si protrasse per un periodo più lungo del previsto e la chiesa fu consacrata solamente nel 1963 ed è annessa al convento delle Figlie del Sacro Cuore che, fin dalla fondazione dell’ordine, si occuparono delle famiglie bisognose che avevano trovato rifugio nelle case sorte in “Su Baroni” immediatamente dopo la Seconda guerra mondiale. Il progetto per l’edificio sacro fu commissionato ad Adalberto Libera, che però era già impegnato in altri progetti e suggerì l’affidamento e l’esecuzione agli architetti Gianna Genta e Silvano Panzarosa, due suoi giovani collaboratori non solo in progetti nazionali ma anche in quello della Città Giardino di Cagliari, a poca distanza dalla Chiesa di Cristo Re. L’esterno della Chiesa è formato da un prospetto a capanna diviso in tre specchi: quello centrale, intonacato, è leggermente rientrante a formare uno pseudo-protiro nel quale si aprono i tre portali in bronzo sovrastati dall’ampia vetrata esagonale. I prospetti laterali, delimitati da vetrate, sono invece rivestiti in pietra calcarea e marmo rosa con un forte richiamo ai rivestimenti delle chiese gotiche umbre e abruzzesi (Santa Chiara in Assisi, la Basilica del Santo Volto a Manoppello e la Basilica di Santa Maria di Collemaggio a L’Aquila, per citare le più note). L’interno è caratterizzato dalla configurazione a pianta centrale pur essendo predisposto per una liturgia più canonica come quella delle chiese a pianta longitudinale. Le pareti interne presentano lo stesso rivestimento del prospetto, in calcare e marmo rosa, ma con i conci rosati incassati invece delle sporgenze a bugna della facciata. Quattro pilastri a pianta triangolare si sviluppano dal pavimento per interrompersi a metà altezza dove si dipartono le nervature che sostengono la volta.

Chiesa di Cristo Re, veduta del bellissimo interno
Due tribune ai lati del presbiterio ospitano nella parte superiore gli spazi da cui le Figlie del Sacro Cuore assistevano alle funzioni e nella parte inferiore gli ambienti di comunicazione con il convento e l’Istituto. Al di sopra del presbiterio è posto il pregevole simulacro di Cristo Re che assurge al Cielo, opera dello scultore Eugenio De Courten (uno degli ultimi discendenti della casata nobiliare svizzera) al quale si devono anche le quattordici artistiche stazioni della via Crucis e, con ogni probabilità, anche le quattro bellissime croci di consacrazione poste nella parte bassa dei pilastri. Ognuna delle quattro croci è realizzata in bronzo ed è formata dalla fusione tra una croce greca e una croce di Sant’Andrea entrambe con i terminali a coda di rondine, per un totale di otto bracci in bronzo brunito. Le croci greche sono più piccole, ma sui loro terminali si impostano quattro grandi borchie piramidali in bronzo lucidato. Oltre i bracci delle Croci di Sant’Andrea, leggermente separate da essi, si innestano invece quattro borchie a piramide di dimensioni più contenute e ruotate rispetto alle maggiori, dando all’insieme un aspetto pressoché quadrato. Al di sotto di ogni croce è posto un piccolo candelabro formato da un primo supporto piatto e ampio, sul quale poi si innalza una ulteriore piramide (rovesciata) in cui è presente il chiodo che regge la candela in cera, non essendo prevista per le croci una illuminazione artificiale. Il loro aspetto le pone tra gli esempi più singolari tra quelli moderni e l’eleganza stilistica rende ulteriormente plausibile l’attribuzione al De Courten.
Chiesa di San Francesco d’Assisi (dal 1952 al 1963)

Chiesa di San Francesco d’Assisi
La Chiesa di San Francesco d’Assisi, nella via Piemonte, nacque come parrocchia del quartiere La Vega, già abitato dagli inizi del ‘900 in villini per le famiglie più prestigiose ma sviluppatosi dal dopoguerra come quartiere residenziale con case a prezzi accessibili e alcuni edifici dell’Istituto Autonomo Case Popolari. La sua costruzione ebbe inizio per volontà dell’Arcivescovo Paolo Botto a partire dal 1952, sebbene le vicende costruttive si protrassero fino al 1963. L’esterno è caratterizzato da un severo prospetto rivestito in trachite grigia di Serrenti (come i prospetti laterali) che annuncia il corpo cubico dell’interno con copertura piramidale. Al centro del prospetto si apre un ampio nicchione entro il quale è posta la vetrata che illumina l’interno e davanti alla quale è posta la scultura di San Francesco realizzata da Aroldo Bellini. L’interno è arricchito da mosaici realizzati da Franco D’Urso su disegno dell’architetto Gina Baldracchini e presenta una sua sobria eleganza, volta soprattutto alla semplificazione dei rituali liturgici.

Una delle quattro Croci di Consacrazione della Chiesa di San Francesco
Sono solamente quattro (come gli Evangelisti) le croci di consacrazione che ricordano la benedizione dell’edificio e sono poste nei pilastri ai lati delle cappelle laterali. Le croci sono formate da tarsie di marmo verde scuro, in forma greca-patente con terminali piatti, su un fondo in marmo rosa di forma quadrata. L’aspetto è semplice e si adatta perfettamente all’interno della chiesa e ai dettami si semplicità cui si rifà la regola dell’ordine dei Francescani che fin dall’inizio hanno in cura la parrocchia e vivono nel vicino convento.
Chiesa di San Carlo Borromeo (dal 1962 al 1967)

Chiesa di San Carlo Borromeo
Nata anch’essa per volontà dell’Arcivescovo Paolo Botto, la Chiesa di San Carlo Borromeo fu eretta a partire dal 1° Luglio 1962 come sede parrocchiale per il quartiere di Sant’Alenixedda/Fonsarda che in quel periodo stava conoscendo un grande sviluppo grazie anche alla costruzione di numerosi isolati da parte dell’Istituto Autonomo Case Popolari per le famiglie che ancora attendevano una nuova abitazione dopo gli eventi bellici oppure per quelle che si erano trasferite dai paesi dell’interno dell’Isola per lavoro e non avevano trovato alloggi disponibili a prezzi accessibili. Della Chiesa di San Carlo Borromeo si è già parlato nell’articolo sulle cupole cagliaritane per le due che caratterizzano l’edificio. Nel presente articolo verrà brevemente approfondita la sua descrizione. La chiesa è esternamente rivestita in blocchi di arenaria lungo i quattro prospetti, lasciano a vista le superfici dello scheletro in cemento armato. Il singolare campanile è formato da una base in mattoni su cui si innalza la struttura metallica che ospita le celle campanarie, completamente aperta sui quattro lati, al di sopra della quale si eleva una cuspide in bronzo. Dal portale di accesso si entra in un’ampia bussola a destra della quale è ospitata la cappella battesimale il cui ingresso è dall’interno della Chiesa.

Interno della Chiesa di San Carlo Borromeo
L’interno è suddiviso in tre navate da pilastri in cemento armato che sostengono i costoloni della copertura; le navate laterali proseguono oltre l’ambiente presbiteriale quasi a formare un deambulatorio sopra il quale si apre un matroneo che ospita, sopra l’altare maggiore un Crocifisso in bronzo di buona qualità esecutiva sormontato da un mosaico con Dio Padre e lo Spirito Santo a completare l’immagine della Trinità. Sopra il presbiterio si eleva la cupola quadrangolare. Lungo le pareti delle navate laterali si trovano le croci di consacrazione che commemorano la benedizione e l’apertura al culto della chiesa avvenute il 3 novembre 1967. Si tratta di dodici croci greche con bracci leggermente inclinati verso il loro incrocio e, pertanto, rientranti nella categoria delle croci patenti. Sono incise a scalpello vivo nell’arenaria che riveste anche le pareti interne dell’edificio e risaltano per la vernice nera con cui è dipinta la superficie intagliata. La loro sobrietà è simbolo della modestia dell’edificio, volutamente semplice per evitare di ostentare una ricchezza ecclesiastica in un quartiere in cui la popolazione – almeno agli inizi – non godeva di una forte prosperità economica. A conferma di ciò, con l’elevarsi delle possibilità economiche dei fedeli del quartiere e delle donazioni alla Chiesa, la parrocchia poté dotarsi di arredi liturgici e opere d’arte che, sebbene mai costose, non sono esenti da un buon valore artistico.

Due delle Croci di Consacrazione all’interno della Chiesa di San Carlo Borromeo
Chiesa Nuova dei Santi Giorgio e Caterina (dal 1957 al 1967)

Chiesa di Santa Caterina dei Genovesi
Nell’articolo è stata già descritta la perdita dell’antica chiesa dei Santi Giorgio e Caterina dei Genovesi. La nuova chiesa a loro intitolata sorse, come nuova sede dell’Arciconfraternita dei Genovesi, in un luogo assai distante dalla chiesa originaria, ovvero alle pendici del Monte Urpinu in via Gemelli. Si tratta della seconda Chiesa del quartiere di Monte Urpinu, dopo quella di Cristo Re e prima della più recente Chiesa della Madonna del Rosario in via Vidal. All’interno del parco istituito nell’area verde del colle non va inoltre dimenticata la Chiesetta Aragonese (di cui si è discusso nell’articolo sulle Cupole Cagliaritane). Costruita a partire dal 1958 su un progetto del 1957 curato dagli architetti Marco Piloni e Francesco Giacchetti, la chiesa dei Santi Giorgio e Caterina si presentò da subito come uno dei più innovativi edifici del dopoguerra per le linee sinuose e lo sviluppo fortemente verticale su ispirazione delle architetture realizzate a partire dagli anni ‘40 da Oscar Niemeyer – all’epoca impegnato nella costruzione di Brasilia – come, ad esempio, la chiesa di San Francesco d’Assisi a Belo Horizonte. L’edificio si impone per i grandi archi parabolici che sostengono la copertura cupolare e riquadrano le grandi vetrate al di sopra delle cappelle laterali dando all’interno una sensazione di grande armonia e luminosità. L’interno è a pianta centrale (nonostante l’esistenza di testi recenti in cui si parla, assurdamente, di navata destra e navata sinistra). L’asse visivo principale percorre lo spazio dalla bussola di ingresso al presbiterio, più alto rispetto alle cappelle radiali e realizzato all’interno di una nicchia delimitata da un arco parabolico in proporzione armonica con il soprastante arco principale.

Interno della Chiesa di Santa Caterina dei Genovesi
All’interno della Chiesa sono stati reimpiegati diversi elementi in marmo recuperati dai ruderi della chiesa cinquecentesca di Via Manno mentre le decorazioni furono affidate a Dino Fantini per quanto riguarda l’apparato pittorico e a Rolando Monti per le vetrate. Nel 1967 i lavori furono ultimati e la chiesa poté essere consacrata e aperta al culto. A ricordo della sua consacrazione permangono tuttora le dodici croci originarie, dieci delle quali poste all’interno della chiesa nei grandi archi che sorreggono la volta e segnano lo spazio che racchiude le vetrate e le cappelle. Si tratta di piccole Croci patenti di forma greca in pietra nera con i terminali leggermente curvi entro l’interno quasi a formare il motivo a coda di rondine. Non si tratta, come nei casi precedenti, di elementi scolpiti in un unico blocco materico ma ogni braccio è scolpito singolarmente per essere poi congiunto in una forma unitaria con gli altri tre. La disposizione segue il regolare canone secondo cui il rituale di consacrazione doveva svolgersi ungendo con gli olii sacri proprio gli elementi di sostegno, dando agli archi non solo un significato costruttivo ma anche fortemente simbolico dal punto di vista religioso. Le altre due croci, per un totale apostolico di dodici, si trovano ai lati del grande portale di legno, alla base dell’arcata che delimita l’ingresso alla chiesa. Come quelle dell’interno, sono piccole croci greche patenti con terminali a mezzaluna inversa. La differenza, però, non è solo materica – in quanto sono state realizzate in cemento dipinte nella stessa tonalità dell’arco – ma anche estetica poiché ogni braccio è formato da un bordo su cui risalta, in micro-rilievo, il campo centrale leggermente rialzato.

Chiesa di Santa Caterina dei Genovesi: tre delle dieci Croci di Consacrazione all’interno

Chiesa di Santa Caterina dei Genovesi, le due Croci ai lati del Portale
Chiesa di Sant’Elia (dal 1953 al 1955)
Anche la parrocchia di Sant’Elia, come altre già citate in quest’articolo e alcune delle seguenti, fu istituita dall’Arcivescovo Mons. Paolo Botto nel 1952 al fine di dare un degno luogo di culto e di riunione ai fedeli del quartiere, il cui nucleo più antico è nato nel dopoguerra e fu abitato principalmente da pescatori e da abitanti della Marina che avevano perso la casa nel corso degli eventi bellici. Dedicata al Profeta Elia, la chiesa è la seconda titolare di questo nome dopo la Chiesa di Sant’Elia al Monte, sul colle omonimo alle cui pendici sorge il borgo nuovo. Il Sant’Elia cui fu dedicata la chiesetta in cima al colle fu, però, un santo martire cagliaritano e la chiesa sorse intorno al XII secolo sul luogo in cui fu rinvenuta la sua sepoltura. Successivamente, nella chiesa antica, fu istituito un cenobio di monaci carmelitani che diffusero il culto del Profeta Elia, da cui la sovrapposizione dei due santi omonimi. Nel 1953, alla presenza di Mons. Botto, fu posta la prima pietra della Chiesa, progettata dall’ingegnere Salvatore Rattu, che fu parzialmente terminata già nel 1955 anche se i lavori proseguirono fino al 1968, data della sua consacrazione.

Chiesa di Sant’Elia

Chiesa di Sant’Elia, l’interno
L’esterno si eleva scenograficamente al di sopra di un ampio piazzale con gradinata ad anfiteatro; il prospetto mostra una notevole somiglianza con quello della Chiesa di San Paolo in Piazza Giovanni XXIII per la presenza del portico a tre luci e della vetrata a ottagono irregolare (qui priva del terminale a cuspide) e della forma a capanna. Il campanile, sobrio e dignitoso, si sviluppa in altezza alla destra della chiesa e termina con una cuspide piramidale. L’interno è semplice ed elegante nella sua funzionalità liturgica: diviso in tre navate, le due laterali ampie un terzo della centrale, presenta un presbiterio sopraelevato e più stretto rispetto all’aula impreziosito da un mosaico a piastrelle dipinte realizzato da Dino Fantini. Le campate della navata centrale cono coperte da un tetto a falde parzialmente celato da una struttura in cemento che ricorda le volte a crociera ma che ha l’aspetto di una vela bianca, tesa e inchiodata ai quattro angoli, da cui si scorge l’azzurro delle falde presenti al di sopra.

Chiesa di Sant’Elia, la navata sinistra verso la controfacciata
Nei pilastri sporgenti dalle pareti delle navate laterali sono disposte le dodici croci di consacrazione, di forma moderna e risaltanti per la loro eleganza compositiva: le croci greche sono infatti intarsiate all’interno di formelle circolari in pietra calcarea e dall’incrocio dei bracci si diramano due raggi per ogni angolo. La pietra è stata lisciata e lucidata lungo la cornice circolare e nel campo delle croci e dei raggi, mentre il campo inciso è stato lasciato al ruvido ma rivestito in una lamina dorata che, nonostante col tempo abbia perso la lucentezza, contribuisce tuttora a far risaltare gli elementi scultorei. Insieme al mosaico di Dino Fantini e ai diversi simulacri posti lungo le navate, contribuiscono a dare all’insieme di architettura e arredo una sensazione di armonia ed eleganza nonché di cura del dettaglio, cosa assai rara per le chiese realizzate in quelli che – all’epoca – erano i quartieri più poveri e disagiati delle città d’Italia, una situazione comune che, nel caso del borgo vecchio di Sant’Elia ha, poco alla volta, visto un notevole riscatto sociale dapprima con la creazione del polo museale nell’ex Lazzaretto e con i diversi studi sulle architetture (religiose e di fortificazione) e le aree archeologiche nel colle di Sant’Elia.

Chiesa di Sant’Elia, tre delle dodici Croci di Consacrazione
Chiesa della Medaglia Miracolosa (dal 1953)
La chiesa della Medaglia Miracolosa venne costruita a partire dal 1953 quando l’Arcivescovo Monsignor Botto istituì la nuova parrocchia del quartiere di San Michele che si stava progressivamente ingrandendo proprio negli anni del dopoguerra sia per l’aumento della popolazione cagliaritana dovuto al trasferimento di numerose famiglie dalle località interne dell’Isola in cerca di lavoro e di una migliore condizione economica, sia per la crescente richiesta di nuove case per alloggiare le famiglie che avevano perso le loro durante i bombardamenti del 1942-43. Inizialmente il quartiere di San Michele aveva il suo fulcro religioso in una piccola chiesetta eretta nell’immediato dopoguerra ma era poco più di una capanna con la copertura in lamiera e nota appunto come “sa Cresiedda”, sempre dedicata alla Medaglia Miracolosa.

Chiesa della Medaglia Miracolosa
I fondi per la costruzione della nuova chiesa vennero in parte dal risarcimento fatto all’Arcidiocesi per le perdite subite con i bombardamenti e, in particolare, per la scomparsa delle chiese di San Giorgio e di Santa Margherita. Sebbene la prima fosse stata appena lambita dai bombardamenti e pienamente recuperabile, nonostante la sua importante storia venne ugualmente demolita. La chiesa di Santa Margherita, invece, come raccontato e documentato nell’articolo sul patrimonio distrutto dai bombardamenti, inizialmente sembrava non aver subito grossi danni ma, al seguito del crollo degli edifici adiacenti si presentarono lesioni tali da giustificarne l’abbattimento.
La costruzione della nuova chiesa della Medaglia Miracolosa ebbe inizio dallo stesso 1953 sebbene i lavori si protrassero relativamente a lungo, tanto che la chiesa fu inaugurata solo il 28 settembre1968 dal Cardinale Baggio. L’edificio ha una pianta centrale in forma di stella a sei punte al centro della quale si innalzano i pilastri che sorreggono la cupola di forma prismatica anch’essa a base esagonale e ispirata – sebbene in una declinazione moderna e stilizzata – alle cupole di Guarino Guarini. In cima alla cupola svetta la scultura dell’Immacolata, recentemente restaurata. Il rivestimento in pietra dell’esterno lascia scoperto lo scheletro in cemento armato ed è parzialmente attorniato da un portico a nove luci, delle quali quella centrale è più ampia e più alta e forma un protiro di accesso alla chiesa.

Chiesa della Medaglia Miracolosa, interno
L’interno invece, a parte la struttura portante, è interamente rivestito in laterizi sfruttandone le diverse superfici per ottenere un gradevole effetto decorativo. Alla base della cupola, su ogni lato, sono presenti tre croci in mattoni che farebbero supporre una prima benedizione alla data dell’inaugurazione, sebbene diciotto sia un numero elevato per le croci di consacrazione. Effettivamente possono essere state una guida per il rituale di benedizione, ma la consacrazione avvenne nel decimo anniversario dell’apertura al culto, ossia nel 1978 alla presenza dell’Arcivescovo Mons. Bonfiglioli. A questa data risalgono le quattro croci di consacrazione installate nei pilastri che sorreggono la cupola. La loro fattura è piuttosto semplice ma proprio per questo dignitosa e appropriata allo stile dell’edificio. Sono quattro croci greche in legno dipinto di nero che si stagliano in modo netto sullo sfondo dei pilastri in cemento dipinto in un grigio talmente chiaro da sembrare bianco. Di ampie dimensioni, sono ben visibili e riconoscibili già dall’ingresso della chiesa, ma si impongono soprattutto per il contrasto cromatico e non per una qualunque pretesa di sfarzo, che sarebbe risultato come un’ostentazione viste anche le ridotte possibilità economiche del quartiere almeno all’epoca della consacrazione.

Chiesa della Medaglia Miracolosa: la cupola con le diciotto croci alla base del tamburo e una delle quattro Croci di Consacrazione del 1978
Chiesa della Beata Vergine della Salute (dal 1963 al 1971)
Fra le numerose parrocchie istituite dall’Arcivescovo Botto vi fu, nel 1956, anche quella dell’allora quartiere Ausonia (ora inglobato nel più ampio quartiere del Poetto/Medau Su Cramu) e intitolata alla Beata Vergine della Salute, consegnandola in affido all’ordine dei Figli di Santa Maria Immacolata. Si dovette attendere, però, al 1963 per la posa della prima pietra per la costruzione della nuova chiesa progettata dall’Architetto Giacinto Macrelli. I lavori durarono fino al 1971, anno in cui la chiesa fu consacrata e aperta al culto. L’edificio ha una pianta longitudinale che inscrive una croce latina all’interno di uno spazio di forma a ottagono irregolare; l’esterno affaccia su un piazzale adibito a giardino nel quale sono inseriti i rocchi delle colonne del distrutto Mercato Civico.

Chiesa della Beata Vergine della Salute
Il prospetto è diviso in tre specchi, il centrale ampio il doppio dei laterali: in ognuno dei tre specchi è stata inserita una decorazione in blocchetti di calcare che riprende le decorazioni tipiche dei tappeti sardi qui in una declinazione decorativa volta ad aspetti religiosi. Una parte della copertura è aggettante sopra il portale, formando così uno pseudo-protiro al di sotto del quale è inserita l’ampia vetrata in forma di losanga. L’interno è ad aula unica che incrocia un transetto appena accennato al centro del quale si eleva l’ampia cupola a forma di guglia su base ottagona. Nel lato destro del breve transetto è inserita l’icona dedicata alla Vergine della Salute e dipinta dalla pittrice Lucia Porcu. Dal 2013 il presbiterio ospita una pala d’altare in forma di retablo ampio ben 85 metri quadri, realizzata da un gruppo di 25 pittori italiani e spagnoli e completata da Francisco José Gómez Argüello (più noto come Kiko Argüello) artista e catechista spagnolo che negli anni ’60 fondò assieme a Maria del Carmen Hernández Barrera il Cammino Neocatecumenale, i cui obiettivi di riavvicinamento al cattolicesimo sono alla base della comunità religiosa della parrocchia.

Chiesa della Beata Vergine della Salute, l’interno
L’intero interno della chiesa è rivestito da uno spesso intonaco cementizio lasciato al ruvido e intonacato in bianco assumendo un aspetto di gusto marcatamente mediterraneo già sperimentato in edifici ecclesiastici coevi (si pensi alla chiesa di Stella Maris di Porto Cervo). Su questo intonaco scabro risaltano i lisci bacini ceramici capovolti su cui sono dipinte le dodici croci di consacrazione della chiesa. Sono Croci il cui supporto emisferico è alla base della scelta della tipologia templare con terminali a mezzaluna e sono dipinte in rosso su campo bianco. Le loro dimensioni sono piuttosto contenute, ma il rosso vivo della colorazione le fa risaltare maggiormente nel candido interno della chiesa. Ogni Croce di consacrazione è inoltre dotata di un suo piccolo candeliere in ferro battuto ornato da perle di vetro che attorniano la struttura vitrea che sostiene i piccoli ceri, non essendo – volutamente – predisposte per l’illuminazione artificiale. La scelta dei bacini ceramici ha inoltre un suo richiamo alla tradizione romanica, sebbene i bacini delle chiese romanici venissero infissi nei conci di pietra con il lato concavo rivolto verso l’esterno, al contrario di quanto accade nelle Croci della Chiesa di Nostra Signora della Salute. Non è da escludersi la loro progettazione da parte dello stesso Giacinto Macrelli e sono comunque tra gli esempi più eleganti e originali tra quelli realizzati nelle nuove chiese cagliaritane del dopoguerra.

Chiesa della Beata Vergine della Salute: quattro delle dodici Croci di Consacrazione
Chiesa di San Giuseppe a Pirri (dal 1957 al 1966)

Chiesa di San Giuseppe a Pirri
L’attività dell’Arcivescovo Paolo Botto non si limitò ai soli quartieri cagliaritani periferici nati o ingranditisi nel dopoguerra ma anche ai comuni dell’hinterland e all’attualmente unica frazione di Cagliari, ossia Pirri. Tra Pirri e Cagliari, sul finire degli anni ’50, andava sviluppandosi il nuovo quartiere di Monreale (oggi noto soprattutto per le colorate Torri per Uffici), il quale necessitava di una propria parrocchia, dato che le uniche due chiese del centro storico pirrese (San Pietro Apostolo e Santa Rosalia) risultavano distanti dal quartiere in costruzione. Nel 1954 venne quindi fondata la Parrocchia di San Giuseppe e si attese al 1957 per poter ottenere i fondi necessari alla costruzione della chiesa parrocchiale, la cui prima pietra fu posata il 12 gennaio del 1958 alla presenza di Mons. Botto. I lavori durarono otto anni e la chiesa venne ultimata e aperta al culto nel 1966 ma si dovette attendere al 1971 per la sua consacrazione da parte del Cardinale Baggio. L’esterno dell’edificio è sobrio ed essenziale, privo di alcun elemento decorativo ad eccezione della semplice vetrata ovale al centro dell’ordine superiore della facciata; nell’ordine inferiore si aprono i tre portali d’accesso. In cima al prospetto vi è una piccola statuina di San Giuseppe, mentre sul lato sinistro si eleva l’alto e ampio campanile di cui si è parlato nell’articolo sugli Orologi Cagliaritani.

San Giuseppe a Pirri, l’interno
L’interno è diviso in tre navate, le due laterali ampie un quarto di quella centrale, ed è scandito in sette campate delle quali l’ultima è occupata dal presbiterio sormontato da un piccolo cupolino a base ellittica. Nei pilastri che separano le navate, rivestiti in travertino, sono inserite le dodici croci di consacrazione, dall’aspetto piuttosto semplice ma votato – nella sua sobrietà – ad una simbologia ben leggibile: si tratta di piccole croci greche in ferro il cui bordo è formato da un cordoncino dello stesso materiale che dona una modesta eleganza ai manufatti.

Chiesa di San Giuseppe a Pirri, una delle Croci di Consacrazione
Al centro di ogni croce è inserito un anello di metallo privo di sporgenze, il ché farebbe pensare ad un mero elemento decorativo oppure ad un’aureola ma il confronto con la Croce installata nel campanile – che riporta i simboli della Passione di Cristo in modo lineare e stilizzato – coeva a quelle di consacrazione permette di riconoscere nell’anello bronzeo una rappresentazione della Corona di Spine, richiamata anche dallo stesso intreccio del cordoncino. Dalla base di ogni croce spunta un semplice elemento in ferro destinato ad accogliere un cero, anche se attualmente le croci ne risultano sprovviste garantendo così la piena leggibilità del semplice ma importante assetto di Croci e Corone di Spine.
Chiesa di Sant’Eusebio (dal 1958)

Chiesa di Sant’Eusebio
Come molti luoghi di culto sorti negli anni ’50, anche la Chiesa di Sant’Eusebio venne eretta per dare sede a una nuova parrocchia istituita dall’Arcivescovo Botto, nello specifico per il quartiere di Is Mirrionis cresciuto nell’immediato dopoguerra e privo di un vero e proprio fulcro religioso e di ritrovo comunitario. Il quartiere poteva vantare fino agli anni ’70 una piccola chiesetta seicentesca dedicata a San Giorgio e più nota come “Santu Perdixeddu”, di cui sono visibili i resti nell’attuale via Mandrolisai. Ma era una chiesa di dimensioni molto contenute sorta come cappella di una casa padronale, per cui inadatta a contenere un discreto numero di fedeli. Allo stesso tempo neanche la Cappella dell’ex Caserma divenuta poi Ospedale della Santissima Trinità poteva svolgere le funzioni di parrocchiale. La prima sede della Parrocchia di Sant’Eusebio fu quindi un ampio locale seminterrato messo a disposizione dall’INA Casa. Nel 1960 gli ingegneri Giovanni Bergamo e Giuseppe del Rio ricevettero la commissione per il progetto della nuova chiesa, i cui lavori cominciarono l’anno stesso e si protrassero fino al 1971 quando la chiesa venne aperta al culto in attesa della sua consacrazione avvenuta il 16 Gennaio del 1972 alla presenza dell’Arcivescovo e Cardinale Sebastiano Baggio.
Esternamente la chiesa si presenta imponente ma modesta, con un ampio fronte preceduto da un portico a cinque luci che prosegue anche lungo le fiancate. Il corpo principale si innalza al di sopra del portico ed è rivestito in mattoni negli specchi laterali mentre quello centrale è occupato per intero da una grande nicchia che ospita la vetrata. L’interno è costituito da un’unica grande aula con l’armatura portante a vista e suddiviso in tre campate, ognuna delle quali ha le pareti disposte a triangolo per formare delle cappelle poco profonde. L’abside è formata da una struttura semi-ottagonale e intonacata in bianco, a differenza delle murature delle fiancate rivestite in mattoni per far risaltare le stazioni della Via Crucis e i Bassorilievi raffiguranti il “Battesimo di Cristo nel Giordano” e l’”Ultima Cena”, tutte opere del celebre scultore leccese Claudio Pulli (un Artista che Cagliari riconosce come un suo proprio cittadino adottivo), come pure l’altare maggiore e i bassorilievi del leggio e della panca per il celebrante.

Chiesa di Sant’Eusebio, l’interno
Anche le otto croci di consacrazione poste sui pilastri che scandiscono le campate presentano caratteristiche che fanno ipotizzare una loro attribuzione al Pulli: sono delle croci greche patenti in cui è visibile una particolare cura all’ornato della superficie, caratterizzato da una decorazione che ha l’effetto di una superficie martellata ma è formata in realtà da tanti incavi prodotti da scalpelli ed elementi metallici di forme diverse manifestando così la loro realizzazione come singoli manufatti artigianali piuttosto che elementi prodotti in serie e acquistati da un catalogo di arredi liturgici. Le piccole croci si stagliano, nere, sul campo bianco dell’intonaco con cui sono rivestiti i pilastri e l’insieme armonico che creano con le altre sculture presenti nella Chiesa potrebbe essere la migliore dimostrazione del fatto che sono state realizzate dallo stesso importante Artista.

Chiesa di Sant’Eusebio, due delle Croci di Consacrazione
Chiesa della Madonna del Suffragio (dal 1967)

Chiesa della Madonna del Suffragio
La Parrocchia della Madonna del Suffragio è una delle ultime istituite dall’Arcivescovo Botto, nel 1967, e fu creata come sede religiosa per il nascente Quartiere del C.E.P. e per i confinanti rioni di Pirri. La prima pietra fu posata nello stesso anno proprio da Mons. Botto. L’edificio è il simbolo di un’architettura che fa della semplicità il suo carattere distintivo senza sacrificare la funzionalità liturgica. Fin dall’esterno è chiaramente leggibile la struttura portante formata da pilastri di cemento armato che reggono una copertura con sagoma a gola al di sotto della quale corrono delle vetrate via via più basse dai lati fino a quelle centrali su ogni lato. Davanti al prospetto corre un profondo loggiato su cui era presente una scultura in bronzo raffigurante, appunto, la Vergine del Suffragio, poi sostituita in anni recenti da un’immagine della Vergine realizzata in mosaico al di sotto della sottile vetrata centrale in cui è presente il suo monogramma. In luogo della scultura in bronzo è stata posta una statua dell’Immacolata di fattura più modesta. L’interno è composto da una vasta aula quadrata coperta da cassettoni formati dall’incrocio delle travi che poggiano sui pilastri a vista. L’altare maggiore, assieme alle vetrate, contribuisce a dare alla chiesa un aspetto gioioso per la presenza di mosaici policromi dai colori brillanti che la riscattano dalla freddezza della semplice geometria architettonica.

Chiesa della Madonna del Suffragio, l’interno
La consacrazione avvenne diversi anni dopo la conclusione dei lavori, il 1° Marzo 1981 e per celebrare il rito vennero installate dodici croci nei pilastri delle fiancate laterali e della controfacciata. Anche le croci, come i mosaici che ornano la chiesa, mostrano una particolare ricerca che ha nella semplicità, nella modernità e nella brillantezza dei colori il suo canone estetico. Ogni croce greca è realizzata in mosaico ed è inscritta in un cerchio formato da tasselli di pietra chiara; la croce vera è propria è formata da tessere in pietra rivestita di lamine dorate con diversi trattamenti della superficie, a volte liscia, altre volte ruvida, mentre gli spazi ad angolo tra i bracci e il bordo sono colmati con tasselli di trachite rosa alternati ad altri di marmo grigio. Il contrasto materico e cromatico con i pilastri in cemento armato è notevole e contribuisce al risalto dato alle croci e al ricordo che esse portano del rito con cui la chiesa venne consacrata. Si consiglia vivamente una visita alla chiesa: pur trattandosi di un edificio moderno costruito con economia di fondi per un quartiere popolare che – nel tempo – è stato oggetto di una pessima fama ma che continua a riscattarsi negli anni, è il simbolo di una volontà artistica votata a una ricerca di bellezza anche nelle forme volumetriche più semplici che avrebbero, invece, rischiato di cadere nell’anonimato.

Chiesa della Madonna del Suffragio: due delle Croci di Consacrazione in mosaico
Chiesa della Madonna della Strada (parrocchia dal 1973)

Chiesa della Madonna della Strada
La Parrocchia della Madonna della Strada venne istituita nel 1973 quando si cominciò a costruire nell’attuale quartiere di Mulinu Becciu. Fin dall’istituzione si sentì il bisogno di un edificio di culto ma, per qualche anno, le funzioni vennero svolte in spazi e appartamenti privati. Se da un lato era una penalizzazione per un quartiere che chiedeva a gran voce di avere un suo fulcro religioso, dall’altro la sua stessa mancanza e l’esercizio dei rituali liturgici in spazi privati contribuì a infondere nel quartiere quel senso di comunità unita che lo ha da sempre caratterizzato. Una prima sede parrocchiale venne messa a disposizione in via Crespellani nel 1977 ma si dovette attendere al 1980 per la cessione da parte del Comune di un’area sufficiente alla costruzione di una chiesa abbastanza ampia da ospitare la comunità dei fedeli sempre più numerosa. I lavori cominciarono nello stesso anno su un progetto redatto dall’Ingegner Ferdinando Spada e si conclusero con la consacrazione della Chiesa il 12 dicembre del 1988 con un rito ufficiato dall’Arcivescovo Mons. Pietro Alberti.

Chiesa della Madonna della Strada, l’interno.
La chiesa, progettata come una tenda sotto cui possano trovare riparo i fedeli, ha una planimetria poligonale dalla forma complessa: un avancorpo formato da due lati convergenti verso il centro del prospetto presenta una profonda rientranza (in luogo del vertice) nella quale si aprono i tre portali di accesso e le vetrate al di sotto della doppia falda del tetto che preannuncia già il senso di protezione che caratterizza l’interno della chiesa. All’interno, infatti, la chiesa si sviluppa allargandosi dall’abside fino ai due lati che piegano per formare il prospetto di cui si è fatto cenno poc’anzi. Il risultato è una forma che ricorda un abbraccio che parte dal presbiterio – dove è presente un artistico mosaico della Vergine col Bambino – e che, tra angoli e rientranze che formano cappelle e spazi chiusi da vetrate, si dirama fino all’ingresso. La volta ricorda effettivamente la copertura di una tenda nomade e si caratterizza per le forme geometriche e il contrasto tra i bianchi e i grigi che ridisegnano la nervatura di sostegno. Al centro della volta, nel punto in cui il progetto originario prevedeva l’innalzamento di un’alta guglia, è invece stata realizzata una chiusura ombrelliforme che si adatta maggiormente alla conformazione del tetto.

Chiesa della Madonna della Strada, Croce di Consacrazione
Le Croci di Consacrazione sono solamente quattro ma si caratterizzano, pur nella loro semplicità, per la cura nella realizzazione e per la scelta materica: sono infatti realizzate in un prezioso granito rosso scuro, in forma di croci greche dalle dimensioni massicce poiché ogni braccio e l’incrocio è formato da un volume cubico con spigoli smussati a 45° addolcendo così la forma fino a darle un aspetto più morbido. Si stagliano sull’intonaco color crema delle pareti e sono ben visibili da ogni lato della chiesa. Due sono poste in prossimità dell’ingresso e due ai lati dell’ambiente presbiteriale, segnando così le tappe di una processione consacrante svoltasi nel perimetro dell’edificio sacro.
Chiesa dello Spirito Santo (dal 1983 al 1996)

Chiesa dello Spirito Santo
Pur essendo censita nel comune di Selargius, la Chiesa dello Spirito Santo fa parte dell’area urbana di Su Planu, da sempre divisa fra i due comuni di Cagliari e Selargius, tanto che parte della comunità parrocchiale risiede nel territorio cagliaritano mentre l’altra è domiciliata nel comune selargino. Pertanto, nella descrizione delle Croci di Consacrazione e delle chiese in cui sorgono, la chiesa dello Spirito Santo può far parte anche dell’elenco di edifici religiosi cagliaritani. La parrocchia venne istituita dall’Arcivescovo Monsignor Bonfiglioli nel 1981 e intitolata allo Spirito Santo e a Santa Rita da Cascia. Inizialmente le funzioni – come avvenuto per la chiesa della Madonna della Strada – si svolsero in uno spazio privato messo a disposizione da parte di un residente del quartiere, ma nel 1983 cominciarono i lavori per la costruzione della Chiesa, durati a lungo tanto da essersi conclusi solamente nel 1996 come attesta l’incisione sull’architrave dell’ingresso.

Chiesa dello Spirito Santo, l’architrave con la data di consacrazione
Il progetto della chiesa è dell’Ingegnere Paolo Pintor che disegnò un edificio dalla planimetria a forma di ventaglio avente il vertice nel punto in cui si trova il vestibolo d’ingresso da cui divergono le due fiancate laterali che incontrano la terza parete, di forma arcuata, dove è ospitato il presbiterio. L’esterno fonde insieme un’architettura dalle più severe forme moderne con un partito decorativo che ha forti richiami storicisti: la parete esterna in cui è riportata l’intitolazione allo Spirito Santo, realizzata con l’alternanza di trachite rosa e travertino, richiama i filari bicromi delle chiese romaniche mentre i portali d’ingresso con le loro cornici e gli architravi intagliati in trachite rosa – scolpite dal senorbiese Salvatore Erriu – mostrano un chiaro rimando alle opere dei Picapedres di epoca gotico-catalana. Anche l’interno mostra un misto di contemporaneità e classicismo, per la presenza, lungo tutta la parete curva, di una cornice classicheggiante che forma delle lunette sotto le quali sono ospitate diverse opere d’arte contemporanee. La Via Crucis e la grande scultura a bassorilievo che forma il dossale dell’altare maggiore sono opera dello scultore e pittore Tore Pintus.
Al Pintus si deve anche l’esecuzione delle croci di consacrazione, la cui fattura è innegabilmente di ottima qualità e mostra come siano opera di un artista e non semplici manufatti prodotti serialmente. Ognuna delle otto croci è realizzata in bronzo, a sbalzo su una piastra metallica quadrata disposta a rombo. I bracci delle croci greche patenti si allungano dal centro fino al punto in cui incrociano i lati del rombo dove culminano con terminali piatti lasciando liberi i quattro angoli che assumono quasi l’aspetto di piccole cuspidi terminali. Anche la lucidatura stessa del bronzo mostra una particolare cura per il dettaglio, essendo svolta dall’incrocio dei bracci verso i lati del rombo in modo che la luce, colpendo la superficie, renda l’idea di una raggiera.

Chiesa dello Spirito Santo, due Croci di Consacrazione
Chiesa di San Sebastiano (1973-1996)

Chiesa di San Sebastiano
La Chiesa di San Sebastiano ha una lunga vicenda costruttiva che vede la sua origine con la fondazione della Parrocchia per il moderno quartiere Fonsarda il 12 Febbraio1973 da parte dell’allora Arcivescovo, il Cardinale Sebastiano Baggio. Il progetto per la nuova chiesa fu ideato solamente nel 1980 dagli architetti Marco Atzeni e Jolao Farci. I lavori per la costruzione durarono a lungo, tanto che si conclusero nel 1995. La chiesa è costruita secondo uno stile brutalista: con ciò non si vuole intendere una connotazione negativa bensì la corrente di pensiero architettonica internazionale sviluppatasi già a partire dalle prime realizzazioni di Le Corbusier e avente come tema principale l’uso del cemento lasciato a vista in forma di mezzo espressivo evidenziando la matericità dell’edificio costruito. La chiesa, infatti, è tutto fuorché brutta se ne si analizzano la struttura e gli effetti plastico/materici tanto all’interno quanto all’esterno.

Chiesa di San Sebastiano, l’interno
La planimetria segue una forma rigorosamente triangolare, un forte richiamo religioso alla Trinità e l’interno si sviluppa a partire da uno dei lati del triangolo che forma il prospetto fino al vertice in cui si trova il presbiterio. Dall’esterno si può apprezzare come il vano presbiteriale si innalzi con un forte sviluppo verticale a “prua di nave”. All’interno la disposizione della chiesa segue un andamento simile ad una sezione di anfiteatro, partendo dall’ingresso e procedendo in pendenza fino al presbiterio. Ciò consente di non percepire dall’interno il forte andamento ascensionale della copertura presbiteriale ma solo quella leggermente pendente dell’aula.

Il Crocifisso e l’ombra che forma un abbraccio
Il dislivello tra le due coperture permette una forte illuminazione del presbiterio in cui è sospesa una grande croce lignea che – grazie alla vetrata posta in alto e non visibile dai fedeli – proietta in modo suggestivo sull’angolo di fondo della chiesa un’ombra che, ad ogni ora, assume la forma di due braccia aperte in segno sia di benedizione quanto di abbraccio. La chiesa poté essere inaugurata solamente nel 1996, e le otto croci di consacrazione presenti all’interno risalgono a questa data. Sono croci greche di modeste dimensioni ma con un aspetto decisamente moderno e stilizzato per via dell’inclinazione delle superfici dei quattro bracci in forme prismatiche che culminano nei terminali a forma di scalpello.

Chiesa di San Sebastiano, una delle Croci di Consacrazione
Sono realizzate in bronzo brunito e disposte lungo le pareti laterali dell’aula e nell’ambiente presbiteriale oltre alla cappella battesimale. Il loro aspetto più pregevole, oltre a quello religioso, è dato dal contrasto materico tra la superficie liscia e levigata del metallo e quella scabra e legnosa del cemento a vista che presenta le venature delle casseforme in legno in cui è stato versato durante la costruzione.
Chiesa di San Massimiliano Kolbe (dal 1973)

Chiesa di San Massimiliano Kolbe
La Parrocchia di San Massimiliano Kolbe nacque in contemporanea con la costruzione della zona residenziale di Bingia Matta, facente parte del quartiere di San Michele. L’edificio venne edificato a partire dal 1973 e fu concluso solamente agli inizi del XXI secolo su progetto dell’Ingegnere Antonio Tramontin, per essere poi consacrato nel 2001. La pianta dell’edificio è quadrata ma l’ingresso principale e l’asse liturgico si svolgono da un vertice all’altro del quadrato per cui la percezione è quella di una forma romboidale. All’esterno, il portale si apre tra due portici che seguono i lati dell’edificio. Sovrasta la copertura una pseudo-cupola formata da spicchi in cemento che fungono da campanile e ospitano un orologio (di cui si è parlato sia nell’articolo sulle cupole cagliaritane sia in quello sugli orologi cittadini). Varcato il portale d’accesso, si entra nella bussola coperta da una vetrata piramidale policroma con simboli religiosi sui quattro lati. Dalla bussola parte un lungo finestrone posto sulla copertura che funge da collegamento visivo con il vano presbiteriale leggermente rialzato rispetto all’aula (quest’ultima disposta in lieve pendenza per consentire a tutti i fedeli una precisa visione delle funzioni religiose).

Chiesa di San Massimiliano Kolbe, l’interno
Le pareti sono rivestite in marmo scuro sul quale spiccano le artistiche stazioni della Via Crucis in bassorilievo su fondo laminato in oro. La copertura è sorretta da una travatura lignea che, assieme ai banchi e alla sedia del celebrante, contribuisce a diffondere un senso di calore nell’austerità dell’ambiente sacro. Le Croci di consacrazione sono quattro, due poste ai lati della bussola e due ai lati del presbiterio. Sono realizzate in forma di croce greca con terminali a coda di rondine arcuati e sono scolpite su blocchi di granito rosa che creano un lieve e piacevole distacco sul travertino dei pilastri in cui sono apposte. La smussatura degli angoli e l’assottigliamento ad andamento curvo sulle otto punte conferiscono una gradevole sensazione di morbidezza in contrasto con la durezza materica del granito.

Chiesa di San Massimiliano Kolbe, tre Croci di Consacrazione
Chiesa dei Santi Pietro e Paolo (dal 1967 al 1996 e dal 1997 al 2002)

Chiesa dei Santi Pietro e Paolo
La chiesa dei Santi Pietro e Paolo rappresenta la sede di una delle ultime parrocchie istituite da Mons. Paolo Botto durante il suo mandato arcivescovile. Fu concepita come seconda parrocchia per il popoloso quartiere di Is Mirrionis e inizialmente le celebrazioni liturgiche si svolgevano in un magazzino (ancora esistente) nella parte iniziale della Via Is Mirrionis. Successivamente venne ceduta alla parrocchia una porzione di un capannone in uso all’ex caserma militare (nel frattempo trasformata nell’attuale Ospedale della Santissima Trinità) che venne adattato a cappella; successivamente l’intero capannone fu trasformato in chiesa e almeno fino al 1996 l’edificio sacro mantenne quell’assetto anonimo e da casermone nonostante i tentativi di abbellimento. Durante la Quaresima del 1996 la copertura della chiesa (o meglio, del vetusto capannone trasformato in chiesa) crollò completamente, per fortuna in un momento di chiusura al culto e senza vittime. I lavori per la ricostruzione ebbero inizio subito dopo lo sgombero delle macerie e l’edificio venne rinnovato seguendo un canone stilistico storicista che associava alla forma planimetrica del capannone un linguaggio decorativo classico ed elegante, con la suddivisione dell’interno in tre navate per mezzo di pilastri sorreggenti trabeazioni modanate su cui si imposta la nuova copertura e la realizzazione di portali con terminale a cimasa a collegare la sacrestia e gli ambienti di servizio all’aula. L’interno così rinnovato risulta ampio, arioso e molto luminoso. La chiesa fu consacrata nel 2002 alla presenza dell’Arcivescovo Ottorino Pietro Alberti e del nuovo parroco (dal 2001) don Federico Locci. Colgo qui l’occasione per ringraziare proprio Don Federico Locci per avermi concesso di fotografare le croci e la chiesa in un orario in cui non era aperta al pubblico.

Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, l’interno.
Le dodici croci di consacrazione presentano una forma e un ornato molto elegante. Realizzate in legno dorato, sono croci greche i cui bracci sono formati da quattro foglie di acanto che si sviluppano a partire da quattro bracci interni più piccoli a forma di losanga. L’incrocio dei bracci forma un bocciolo. Seguendo uno stile più classico rispetto alle chiese contemporanee, si scelse di predisporre un candeliere in metallo dorato sotto ogni croce attenendosi alla tradizione dell’illuminazione delle stesse tramite candele in luogo delle luci artificiali. Il contrasto cromatico tra la superficie dorata delle Croci e dei candelabri è piacevole per il risalto che crea sulle pareti color panna dei pilastri, a loro volta segnati da profili in marmo bianco e staccati cromaticamente dalle pareti dell’aula intonacate, invece, in un puro bianco.

Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, due delle dodici Croci di Consacrazione

Il nuovo portale sulla via Is Mirrionis
Nel 2020 l’Arcivescovo Mons. Baturi diede l’avvio alla costruzione di un nuovo portale -che sostituì l’anonimo cancello di accesso al sagrato della chiesa – realizzato in uno stile classicheggiante ispirato ai portali tardo-barocchi diffusi soprattutto nel campidano di Oristano (si pensi a Vicu Sottu o ai portali dell’area del Rimedio). Concluso e consacrato nel 2023, il nuovo portale presenta due croci laterali che, però, non sono solo Croci di Consacrazione bensì sono Croci di Indulgenza, essendo istituita con bolla arcivescovile “L’INDULGENZA PARZIALE a tutti coloro che varcando devotamente la soglia della nuova facciata, per recarsi nella chiesa parrocchiale dei SS. Pietro e Paolo in Cagliari, all’interno di essa sosteranno dinanzi a Gesù Sacramentato e pregheranno secondo le intenzioni del Santo Padre” (dal testo della bolla arcivescovile). Le due croci di indulgenza sono realizzate in ottone e poste all’interno dell’arcata di accesso: si presentano in forma di croci greche con terminali a mezzaluna inscritte in cerchi concentrici entro i quali è incisa la formula di benedizione per coloro che ricevono l’indulgenza. Elementi decorativi in forma di palmette concludono i bracci delle due croci.

Chiesa dei Santi Pietro e Paolo, le due Croci di Indulgenza ai lati dell’ingresso nel nuovo portale.
Chiesa Nuova di Santa Lucia (dal 1953 al 1956)

Chiesa di Santa Lucia, l’interno nel 2010 senza Croci di Consacrazione
Nell’articolo si è già parlato dell’antica Chiesa di Santa Lucia in Marina, scelleratamente demolita in seguito ai lievi e riparabilissimi danni che aveva subito durante i bombardamenti del 1943.
Con i fondi per il risarcimento e la ricostruzione stanziati dall’appena nata Repubblica Italiana, si decise di ricostruire la Chiesa ma in una nuova posizione, demolendo la vecchia per far posto ad una piazza che non venne mai realizzata. Nel 1949, dopo la scelta dell’area, che coincideva con l’area del viale La Playa su cui oggi sorge un centro commerciale, venne affidato ad Adriano Cambellotti il progetto per il nuovo tempio. Al tempo stesso, l’area identificata non venne ritenuta idonea e il progetto per la chiesa venne adattato ad un nuovo sito, in un’area del quartiere di San Benedetto compresa tra la via Cimarosa, la via Pais e la via Donizetti. Il progetto originario di Cambellotti prevedeva un alto campanile che, per la forma, richiamava i pilastri del portico e dell’interno della Chiesa, ma non fu possibile realizzarlo nella nuova sede per mancanza di spazio visto che sarebbe sorto al centro della carreggiata di via Pais. La costruzione ebbe inizio con la posa della prima pietra il 4 ottobre 1953. L’edificio ha una pianta basilicale con interno diviso in tre navate senza transetto e abside semicircolare; al termine di ogni navata si apre una piccola cappella, quella dell’Immacolata al lato destro e quella del Santissimo al lato sinistro. L’esterno riprende, nelle fiancate e nell’abside, uno canone di ispirazione neoromanico, mentre il prospetto segue forme più moderne sebbene segnate anch’esse da un marcato storicismo. Precede l’ingresso alla chiesa un portico a tre luci con quattro pilastri in cui sono incisi i simboli degli Evangelisti (se ne è parlato anche nel primo articolo apparso sul sito, quello sui Leoni cagliaritani). Le porte d’ingresso preannunciano la presenza di opere d’arte – alcune di alto prestigio – per la presenza, nelle ante in vetro, di grandi lastre in bronzo scolpite nel 1999 dall’artista monserratino Gianni Argiolas per ospitare le maniglie. L’interno è scandito in sette campate da pilastri in granito grigio con una forma che , dalla base quadrata, si allarga in un prisma rovesciato fino al punto in cui incontrano gli architravi. Ogni pilastro è decorato, sui lati rivolti all’intradosso, da incisioni rappresentanti la Palma del Martirio di Santa Lucia. Sopra gli architravi corrono degli archi di scarico in mattoni a vista oltre i quali i setti murari proseguono per sostenere le coperture: controsoffitto ligneo nella navata centrale e capriate lignee nelle laterali. Tra le diverse opere d’arte presenti all’interno è meritevole di attenzione il pregevole mosaico realizzato da Franco D’Urso su disegno della religiosa Anna Cervi.

Chiesa di Santa Lucia, l’interno (2025)
La consacrazione della Chiesa avvenne nel 1964 ma dalle foto d’epoca non risulta che siano state apposte croci di consacrazione a commemorazione dell’evento. I recenti restauri conclusi nel 2022 non hanno portato a stravolgimenti nell’assetto della Chiesa e non furono dovuti a crolli o eventi tali da necessitare una riconsacrazione, per cui il rito officiato fu una conferma della consacrazione primaria e in quest’occasione furono apposte dodici nuove croci sui pilastri.
Sono croci greche con terminali polilobati, quindi dette “a boccioli”, realizzate in marmo bianco, con una leggera smussatura lungo i bordi. Sebbene di buona fattura ed eleganti, contrastano con il progetto originario del Cambellotti che prevedeva i pilastri liberi da elementi in rilievo (fatta eccezione per le palme incise di cui si è parlato) e con la giuntura tra i rocchi ben visibile. Le croci di consacrazione, con il loro aspetto classico e per il loro colore chiaro, risaltano subito sui pilastri, e al di sotto di ciascuna di esse, nel punto in cui i rocchi alla base si congiungono con quelli superiori, sono stati collocati dei portavasi in metallo, alterando con queste aggiunte l’aspetto originario dei pilastri. Non si tratta, come detto, di opere prive di valore estetico e artistico (è indubbio poi il loro valore simbolico) ma, in rispetto allo stile della chiesa, forse la scelta di una croce di consacrazione più lineare da apporre nelle murature delle navate laterali avrebbe garantito una maggiore armonia con l’insieme moderno così come concepito dal Cambellotti. Ovviamente, è questione di gusti.

Chiesa di Santa Lucia, una delle nuove Croci di Consacrazione
Dal 2022 non sono state erette o restaurate chiese a Cagliari; pertanto, il percorso tra le Croci di Consacrazione sviluppatosi secondo l’ordine cronologico in cui furono realizzate (a prescindere dalla data di costruzione dei luoghi di culto che rappresentano) si conclude qui in attesa del prossimo articolo.
Bibliografia Essenziale:
- Canonico Giovanni Spano: “Guida della Città di Cagliari e Dintorni”, ristampa anastatica dell’originale del 1861, Gia Editrice, 1991;
- Dionigi Scano: “Forma Karalis“, ristampa anastatica dell’originale del 1934, Gianni Trois Editore;
- Tatiana Kirova: “Cagliari e i suoi Quartieri Storici“, edizione in quattro volumi, 1985-1991, Silvana Editoriale;
- AA. VV.: “Chiese e Arte Sacra in Sardegna: Arcidiocesi di Cagliari“, 2000, Zonza Editori;
- Roberto Coroneo: “Architettura Romanica dalla Metà del Mille al Primo ‘300“, 1993, Ilisso Editore;
- Aldo Sari, Francesca Segni Pulvirenti: “Architettura Tardogotica e di Influsso Rinascimentale“, 1994, Ilisso Editore;
- Salvatore Naitza: “Architettura dal tardo ‘600 al Classicismo Purista“, 1992, Ilisso Editore;
- Gianni Loddo: “Cagliari, Architetture dal 1900 al 1945“, 1999, CoEdiSar Editrice;
- Gianni Loddo: “Guida alla architettura contemporanea di Cagliari“, 1996, CoEdiSar Editrice;
- dopo la stesura dell’articolo sono stati consultati altri testi al fine di assicurarmi che l’argomento non fosse stato trattato in precedenza, specialmente da chi non vedrebbe l’ora di dire che le informazioni sono state rubate dai suoi scritti. E difatti, delle Croci di Consacrazione non c’è alcuna menzione in nessuno di questi suoi volumi. Alcuni di questi testi, inoltre, non sarebbero comunque stati presi in considerazione per via di errori grossolani o in quanto inattendibili come fonti.
Siti Web Consultati:
- BeWeB: Portale dei Beni Culturali Ecclesiastici;
- Wikipedia;
- Catalogo Generale dei Beni Culturali;
Nota legale:
Il presente articolo è stato interamente redatto dal sottoscritto e tratta di un argomento finora inedito nei vari siti e nei diversi Gruppi Social che si occupano di Cagliari: nulla si deve ad altri divulgatori (specialmente a chi cerca sempre di appropriarsi della paternità di testi inediti perchè ama tanto Cagliari. Se la persona ha capito che mi riferisco a lei, si taccia…). Le fotografie su cui è apposta la filigrana sono copie digitali di fotografie su supporto analogico d’epoca: anche se in alcuni casi sono presenti in archivi pubblici, le copie in possesso del sottoscritto sono autentiche (parte di un fondo fotografico ricevuto in dono/eredità) e derivano dalla lastra o dal negativo originale. Laddove non è presente la filigrana, è indicato nel testo l’autore o l’opera o l’archivio da cui sono state tratte.
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