La città di Cagliari pullula di leoni: ogni giorno ognuno di noi viene sorvegliato – molto spesso senza prestarvi attenzione – dal loro sguardo felino, senza venir disturbato da alcun ruggito che provenga dalle loro bocche di pietra, cemento, legno o bronzo.
Ma dove si trovano i leoni? Com’è accaduto che la città si sia riempita di belve? Come ha fatto il leone, seppur in forma iconografica, a far parte del patrimonio artistico cittadino?
È difficile stabilire con certezza quando la figura del leone ha fatto la sua comparsa negli edifici e nelle opere d’arte cittadine. Oggi risulta quasi incredibile il fatto che i leoni abbiano mai camminato sul nostro suolo cittadino (se si eccettuano quelli condotti in anni recenti dai vari circhi itineranti che spesso sostano coi loro spettacoli), ma effettivamente il primo contatto visivo con veri leoni è avvenuto durante la dominazione romana, ai tempi in cui anche il nostro Anfiteatro ospitava lotte tra esseri umani e belve feroci, oltre a battaglie navali, pene capitali e massacri di Cristiani. Dunque un primo effettivo contatto è avvenuto in epoca romana, ma le raffigurazioni leonine non mancano anche in epoche precedenti e infatti al Museo Archeologico oltre a due teste di leoni in terracotta provenienti da Antas (datate tra il I sec. a.C. e il I sec. d.C e dunque romane) sono presenti un bronzo raffigurante Eracle con la Leontè (la pelle di leone) del IV secolo a.C., proveniente da Posada, e le sculture leonine provenienti da Sant’Antioco. Queste ultime sculture mostrano che le raffigurazioni di leoni erano già diffuse prima ancora dell’arrivo dei romani sull’Isola. I reperti esposti al Museo Archeologico sono le uniche rappresentazioni feline dell’epoca pre-cristiana, ma provengono comunque da altre località. Al Museo Archeologico l’unica rappresentazione di leone proveniente dall’antica Karalis è data dalle due Sfingi rosa, provenienti presumibilmente da un tempio dedicato a Iside e rinvenute all’Orto Botanico. Ma la Sfinge è una creatura mitologica che della belva ha il solo corpo con una testa umana. Un’altra creatura mitologica dal corpo leonino con testa d’aquila è il Grifo rappresentato in una formella del X secolo incastonata nel portale settentrionale del transetto della Cattedrale, verosimilmente proveniente dalla distrutta cattedrale della cittadella fortificata di Santa Igia (antica capitale del Giudicato di Cagliari e unico nucleo urbano della Cagliari altomedievale, rasa al suolo dai Pisani nel 1258). Il Grifo farà ritorno nelle sculture cagliaritane anche nelle epoche successive, ma verrà trattato ampiamente in un post che verrà pubblicato prossimamente.
Dall’epoca della formella bizantina bisogna attendere all’edificazione della nuova (e attuale) Cattedrale di Santa Maria Assunta nel quartiere fortificato di Castello (in origine una chiesa dedicata all’Assunta costruita quando i Pisani si instaurarono nel colle di Castello, dal 1217, ed elevata a Cattedrale con la distruzione di quella di Santa Igia) per osservare un manufatto che rappresenti dei leoni: nel 1908, durante i lavori di smantellamento della facciata barocca (del 1703), vennero rinvenuti due architravi romanici, uno dei quali (tuttora in situ) è quello del portale centrale decorato con un motivo a girali d’acanto, e l’altro – separato dall’apparato murario e portato via – raffigurante due leoni affrontati all’Albero della Vita (dal quale derivò l’analogo gruppo scultoreo sulla facciata della Cattedrale di San Pantaleo a Dolianova). Ecco dunque identificata una prima immagine esclusivamente cagliaritana dei leoni, in forma non mitologica ma metaforica.
All’interno del Duomo è presente un capolavoro dell’arte romanica: il Pergamo di Guglielmo, realizzato nel XII secolo per il Duomo di Pisa e arrivato in dono per la Cattedrale di Cagliari nel 1312 quando venne sostituito dal pulpito di Giovanni Pisano. Il Pergamo di Guglielmo era in origine sostenuto dai quattro splendidi leoni che, in seguito ai rifacimenti della seconda metà del ‘600, vennero spostati per sostenere l’impianto del nuovo presbiterio della Cattedrale. Si tratta di quattro sculture stupende, notevoli per la forza espressiva e per l’alta qualità realizzativa. Ogni leone è raffigurato nel momento in cui ha sottomesso un’altra creatura: un uomo e un cavallo nel primo leone a sinistra, un toro quello al lato sinistro della scalinata, un orso quello al lato destro e infine all’estrema destra il leone sottomette un drago alato. Nel Pergamo di Guglielmo è inoltre rappresentato – nel gruppo del Tetramorfo – anche il Leone alato di San Marco, che contribuisce a sorreggere il leggio del Vangelo.
Successivamente all’arrivo del Pergamo di Guglielmo, le maestranze pisane realizzarono – nel primo ventennio del XIV secolo – nel braccio settentrionale del Transetto della Cattedrale la cappella dedicata al Sacro Cuore e comunemente denominata “Cappella Pisana”: qui, su ognuno dei quattro peducci dai quali partono i pilastrini che sostengono la volta a crociera, sono scolpiti i simboli degli Evangelisti tra cui il Leone di San Marco.
La nuova sistemazione del presbiterio della Cattedrale (sopraelevato per consentire la realizzazione del Santuario dei Martiri), della quale si è poco fa parlato a riguardo dei leoni romanici posti a sostegno della gradinata centrale, si impose subito come modello per i presbiteri delle grandi Cattedrali restaurate in seguito (Ales, Oristano, Sassari) e per un’altra importante chiesa cittadina, quella di San Lucifero: qui il presbiterio è sopraelevato per la presenza dei sacelli romani dove vennero rinvenute le reliquie di San Lucifero e di altri martiri cagliaritani, e la sua particolarità sta nel fatto che la balaustra ed i leoni non sono realizzati in marmi preziosi come nelle grandi cattedrali sopracitate, bensì sono stati intagliati nel legno da un anonimo scultore sardo del XVII secolo.
Sempre all’inizio del XIV secolo, la cittadella fortificata di Castello subì un rinnovamento delle murature. Nei primi anni del ‘300, assieme alla Torre dell’Elefante (1305) e quella di San Pancrazio (1307), venne realizzata la Torre del Leone (in seguito poi identificata anche come Torre dell’Aquila, danneggiata dai bombardamenti francesi del 1793 e successivamente inglobata nel Palazzo Boyl), così chiamata per la scultura del Leone – di cui non rimase traccia – che si trovava al di sopra dell’iscrizione dedicatoria. Ai leoni, o meglio alla Leona, era intitolato anche il baluardo che in epoca spagnola venne ricostruito in forma di tre bastioni (Santa Caterina, Zecca e Sperone), successivamente inglobati nell’unica struttura del Bastione di Saint-Remy. Contestualmente al rinnovo delle murature difensive da parte degli spagnoli, nel 1535 venne realizzata la Porta dei due Leoni, sormontata dalle due teste leonine che affacciano sull’esterno della cinta muraria, in via Mazzini, e che potrebbero essere opera di spoglio presentando ancora stilemi arcaici prossimi a quelli d’epoca romanica.
Per una nuova rappresentazione dei leoni (almeno tra quelle giunte fino ai giorni nostri) estranea sia al contesto militare che a quello religioso, bisogna attendere il 1622 quando venne edificato il Palazzo Brondo (dal 1670 Brondo-Zapata), più noto per il famoso “Portone senza Palazzo”: è infatti il solo portale (uno dei più belli di tutta la città, e una delle più importanti realizzazioni isolane d’epoca manierista) a caratterizzare l’edificio, di per sé anonimo e privo di ogni altra forma decorativa. Ai lati del fregio del portale, sopra le colonne bugnate, si trovano due bassorilievi di teste leonine splendidamente intagliati nel marmo e un leone addormentato in cima allo stemma, a sostegno della corona che oggi appare spezzata.
Di pochi anni successivo al portale del Palazzo Zapata è il monumento funebre a Monsignor Francisco D’Esquivel, nel Santuario dei Martiri fatto realizzare proprio dal D’Esquivel al di sotto del Presbiterio della Cattedrale tra il 1615 e il 1618. Il Monumento Funebre, opera di Antonio Zelpi del 1624, è sostenuto da una coppia di leoni accucciati sui quali posano i piedi due angeli che accompagnano l’iscrizione dedicatoria.
Nel 1665 si procedette alla costruzione dell’oratorio del Santissimo Crocifisso, in Piazza San Giacomo, sui resti di una struttura religiosa preesistente. In questo piccolo edificio religioso ricompare il tema dei leoni affrontati all’albero della Vita, al centro del fregio che divide il timpano dalla parte inferiore della facciata. Sempre nella seconda metà del ‘600 la Cattedrale – ancora in veste gotica e in stato di degrado – venne restaurata in forme barocche per volere dell’Arcivescovo Pedro De Vico, il cui stemma si trova sul pulpito, sulla Cattedra Vescovile nel Coro e in particolare nella nicchia ospitante il simulacro della Vergine del Monserrato. Quest’ultimo stemma in particolare è sorretto da due leoni; la nicchia era la gemella di quella un tempo presente al centro della controfacciata e ora scomparsa, anch’essa ospitante lo stemma del De Vico sorretto da leoni.
Durante i restauri barocchi della Cattedrale si procedette anche all’erezione del Mausoleo di Martino d’Aragona, opera colossale dello scultore genovese Giulio Aprile, del 1676, dove il riposo eterno delle spoglie di Re Martino I di Sicilia (fino ai restauri del 2006 si riteneva che la tomba fosse vuota e dunque il Mausoleo fosse un Cenotafio) è sorvegliato da una coppia di leoni. Contestualmente ai lavori nella Cattedrale si procedette anche al rifacimento del sagrato del Duomo, dove si trovano quattro leoni da alcuni ritenuti precedenti opere provenienti dalla struttura della Cattedrale, ma di incerta datazione in quanto l’esposizione a secoli di intemperie e di manipolazioni umane li hanno resi quasi illeggibili nelle loro forme.
È possibile però che siano opere coeve, o di poco precedenti, al rifacimento in stile barocchetto piemontese dell’Ex Palazzo di Città (affacciato sul sagrato) dunque opere settecentesche. A dimostrazione di ciò si può prendere come prova la splendida coppia di leoni (affini a quelli del sagrato) scolpiti nel portale centrale della facciata di Via Canelles dell’Ex Palazzo di Città e che sostengono il balcone centrale ornato dello stemma cittadino. Si arriva così al 1729-30, quando l’ingegnere militare Andrea De Guibert ebbe l’incarico di rinnovare l’antico palazzo Viceregio (elevato nel frattempo al rango di Palazzo Regio) nel quale realizzò l’elegante scalone monumentale le cui balaustre sono sostenute da una coppia di leoni di splendido gusto tardobarocco. Anche qui è evidente un richiamo alla soluzione adottata per il presbiterio della Cattedrale di Cagliari. L’atrio d’accesso con lo scalone monumentale è inoltre introdotto dall’imponente portale neoclassico nel quale spiccano due enormi picchiotti bronzei in forma di leoni reggenti ciascuno un anello.
Un altro esempio di figure leonine di epoca neoclassica lo si può ammirare nell’ingresso all’attuale Cittadella dei Musei, l’ex Arsenale Cittadino. Si tratta di un ingresso monumentale progettato nel 1825 dall’ingegner Boyl, ispirato alla Porta del Popolo di Roma e sovrastato dal gruppo scultoreo raffigurante lo stemma sabaudo incrociato con quello dei quattro mori, sormontato dalla corona regia e circondato da armi e stendardi in mezzo ai quali sono distesi due leoni.
Un’altra parentesi di gusto ancora neoclassico è rappresentata dai leoni scolpiti nel basamento del Monumento Funebre ad Enrico Serpieri (opera del 1872 di Sisto Galavotti) nel Cimitero Monumentale di Bonaria.
Si arriva così all’epoca liberty, e dunque al periodo in cui la città venne letteralmente invasa da una folla immensa di leoni, primi fra tutti i sei leoni incastonati in altrettanti medaglioni sulla facciata del Palazzo Accardo, costruito tra il 1899 e il 1901 sui resti della Chiesa di Sant’Agostino extra-muros. Negli stessi anni vennero realizzati il Palazzo Mazza-Serventi e il palazzo Zedda, entrambi nel Viale Regina Margherita: il primo presenta due splendidi leoni nei picchiotti del portale, mentre nel Palazzo Zedda un leone in ferro battuto impreziosisce la lunetta del portone e una trentina di leoni sono scolpiti sulle mensoline che sorreggono i balconi.
Tra gli esempi più noti di leoni del periodo liberty spiccano tra tutti quelli del nuovo Palazzo Civico (realizzato tra il 1899 e il 1907): i quattro leoni scolpiti in pietra calcarea nella campata centrale del portico, e i due grandiosi leoni in bronzo ai lati dell’arco trionfale che immette nel portico e nella suddetta campata. Non mancano comunque altre realizzazioni di grande interesse e in particolare negli edifici che costituiscono la Palazzata di via Roma, come il feroce leone che sostiene il balcone sopra l’ingresso del Palazzo Magnini in via Baylle (il cui prospetto principale però è sulla Via Roma), i leoni alati del fregio del Palazzo Garzia, e i doccioni in forma leonina nel prospetto su Via Roma dell’isolato Todde-Deplano che prospetta principalmente in Piazza del Carmine.
Del primo decennio del ‘900 sono i due grandi picchiotti bronzei del Palazzo Valdes, di grande intensità espressiva, e i leoni in ferro battuto presenti nei balconi del Palazzo Faggioli, prospettante sia su Piazza del Carmine che sul Viale Trieste. Le altre realizzazioni liberty, che costituiscono una popolazione di diverse centinaia di unità feline, sono delle opere in terracotta – realizzate a stampo – raffiguranti leoni che stringono tra le zanne dei ramoscelli e che vennero utilizzate per decorare le finestre delle palazzine più antiche che si adeguavano così alla nuova corrente architettonico/decorativa della Belle Epoque. A questi leoni che decorano le finestre si aggiunge la non meno numerosa quantità di leoni con le fauci spalancate (anch’essi realizzati a stampo, stavolta però in cemento) utilizzati come mensole di sostegno per i balconcini in ferro battuto. Sono invece di gusto ormai Decò le immagini di leoni incise nei cancelli dell’ex Manifattura Tabacchi.
Risalgono invece agli anni ’30 i leoni scolpiti tra le finestre dell’ultimo piano del Palazzo Nurchi e una bellissima coppia di battenti in forma leonina in un’elegante palazzina di Via Sonnino quasi all’angolo con la Piazza Garibaldi, oltre a quelli presenti in un villino dalle linee classiciste in Via Sant’Alenixedda.
Non mancano inoltre in città le raffigurazioni del Leone di San Marco (la più antica ancora visibile è in un bassorilievo in stucco nella cupola della cappella del Crocifisso nella chiesa di San Giacomo), le più importanti delle quali sono quella pittorica di Filippo Figari nel pennacchio della cupola della Cattedrale ospitante il telero di San Marco (il telero è sovrapposto ad un bassorilievo seicentesco in stucco anch’esso raffigurante San Marco e il Leone), quella scolpita su un pilastro della Chiesa nuova di Santa Lucia, in Via Donizetti e – in ultimo – quella più commerciale dell’epoca post-bellica rappresentata dal leone calcareo del palazzo delle Assicurazioni Generali.
Prestate dunque molta attenzione durante le vostre prossime passeggiate: state pur sicuri che un feroce leone vi sta osservando, è lì da tempo immemore e sembra attendere solo il momento giusto per balzare all’attacco…
Qui potete vedere il video con tutte le foto dei Leoni, buona visione:
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20 Ottobre 2017 alle 2:37 pm
Simone, sono a bocca aperta di fronte a questo incredibile capolavoro. Sapevo che ci avresti sorpreso, ma hai esagerato. Mi sento un ignorante davanti a tanta cultura e professionalità, che dire, chapeau Simone.
Ad maiora.
20 Ottobre 2017 alle 5:31 pm
Ciao Roberto, sei davvero troppo buono, grazie di vero cuore 🙂
E spero che i prossimi articoli possano piacerti altrettanto.
Un abbraccio, grazie anche per l’augurio 🙂