Cagliari sta ingrigendo. Non è un dato anagrafico, ovviamente, poiché le città non conoscono mai una vera e propria vecchiaia. È un dato cromatico.
Una città che – come scriveva D.H. Lawrence – appariva “simile a un gioiello, un’inaspettata rosa d’ambra che si apre a ventaglio al centro del Golfo”, sta vedendo poco alla volta scomparire i suoi colori in favore di un anonimo strato di grigio che, una palazzina dopo l’altra, sta cambiando – rendendolo più triste – il volto delle sue strade.
Per chi arriva dal mare o la osserva a distanza dai monti circostanti, Cagliari appare infatti come una città dominata dal rosa, dal giallo, con screziature di rosso e note luccicanti di calcare a volte bianchissimo, altre volte dorato e infuocato, a seconda di come la luce del sole decida di giocare con gli edifici e i monumenti cittadini. Eppure, sempre più spesso, come delle piccole carie, in mezzo a questo spettacolo colorato spuntano fuori delle macchie incolori su cui neanche i giochi di luce variano di molto la tonalità.

Cagliari, una città dai colori caldi e vividi, minacciata dall’imporsi del grigio come canone estetico che, un palazzo dopo l’altro, sta cambiando il volto delle sue strade…

L’aspetto cromatico della città è in parte spontaneo, opera quindi di chi – in passato – i colori degli edifici li ha scelti di sua iniziativa cercando di farli risaltare nel modo più vario e vivace possibile; in parte è invece voluto, è frutto dell’attività delle “commissioni del bello”, del lavoro delle Soprintendenze passate e di progetti anche economici destinati al recupero del centro storico, il tutto volto a preservare il caleidoscopico gioco di colori che da sempre ha consentito ad ogni singolo edificio di imporsi come luogo estetico a sé pur nel continuo dialogo con gli edifici circostanti.

Resti delle colonne del Mercato Civico Inferiore. In trachite grigia.

Il fenomeno del “grigiore cittadino” non è del tutto recente, poiché sebbene negli ultimi anni la scomparsa del colore dalle strade cittadine si sia propagata ad una velocità impressionante, l’origine di questo fenomeno è da ricercarsi anche in scomparse architetture del passato nelle quali, però, l’assenza di un colore definito era dovuta soprattutto al materiale con cui furono realizzate. Si pensi oggi agli scomparsi e compianti edifici del Mercato Civico del Largo Carlo Felice. Viene naturale rimpiangerli nell’osservare la loro monumentalità nelle foto d’epoca che ritraggono quelle architetture di matrice classica dall’aspetto imponente e severo. Ciò che non balza subito agli occhi in quelle foto è l’impatto visivo che avrebbero oggi: architetture sì di pregio, bellissime nelle loro proporzioni e nel loro rispetto dei canoni classici, ma pur sempre edifici il cui non-colore osservabile nelle foto d’epoca non era poi dissimile dalla tonalità grigio-cenere della trachite di Serrenti, il materiale con cui erano stati costruiti. Sarebbe stato ancora più facile rimpiangere i Mercati Civici se le loro architetture fossero state realizzate con un materiale più felice e consono al contesto del centro storico cittadino: il calcare di Bonaria, ad esempio, avrebbe donato alle strutture quella luminosità e quella sensazione di ampiezza che caratterizzano le nostre Torri trecentesche, il Bastione di Saint-Remy, le facciate del Duomo, della Basilica di N.S. di Bonaria e del Palazzo Civico. Il grigio della pietra di Serrenti, che da metà ‘800 si impose come principale materiale di pregio per la nuova edilizia pubblica e privata isolana caratterizza anche il monumentale Palazzo di Giustizia, sebbene l’uso del travertino ne mitighi appena la pesantezza. Certo, è poi tristemente ironico che due bellissime architetture come quelle del Mercato Civico – pur essendo state realizzate con un materiale cromaticamente infelice – siano in seguito state sostituite da altre architetture grigie, palazzoni destinati all’uso da parte di Istituti Bancari e fasciati nei prospetti da altre pietre, anche più preziose della stessa trachite, eppure sempre grigie, ancor più nel triste anonimato che caratterizza i nuovi edifici.

I due edifici del Mercato Civico, edificati con la trachite di Serrenti dalla caratteristica tonalità grigia.

Con la ricostruzione bellica e la cementificazione selvaggia delle aree periferiche, l’architettura cittadina vide un sempre più veloce degradare del gusto non solo estetico ma anche puramente cromatico. È di quest’epoca, infatti, la nascita di palazzoni dalle tonalità indefinite, spente, che fecero da apripista all’architettura brutalista vera e propria, la quale – a partire dalla metà degli anni ’60 – ha imposto anche a Cagliari l’uso del cemento a vista come nuovo canone estetico. Ciò, unito all’ampio uso di materiali prefabbricati, è all’origine di architetture come il Tribunale dei Minori (anni ’80), l’Ospedale Brotzu (fine anni ’70), i Palazzoni del Favero (anni ’70) e l’ingresso al Cimitero Monumentale di Bonaria con la struttura in cui originariamente doveva essere ospitato il Museo della Statuaria Funebre (metà degli anni ’80).

Il grigiore brutalista del nuovo ingresso al Cimitero Monumentale di Bonaria e dell’Ospedale Brotzu


Dopo una breve e felice parentesi che, tra la metà degli anni ’90 e il primo decennio degli anni ‘2000, ha visto nascere diversi progetti di recupero e risanamento finanziati anche dalle amministrazioni passate e sottoposti – allora – ad un’attenta sorveglianza della Soprintendenza (sorveglianza che prevedeva la precisa corrispondenza tra i colori apportati ai nuovi intonaci delle facciate con i colori originariamente presenti), in anni più recenti si è assistito ad una nuova impennata nell’avanzamento del grigio in contesti urbani precedentemente vivaci e variopinti.


Le motivazioni alla base del nuovo avanzamento del grigio cittadino sono diverse, certo, ma riconducibili soprattutto a quattro filoni:

Praticità contro vandalismo
L’uso abbondante di strati di grigio scuro, tali da far pensare che ci si sia dimenticati di passare il colore sopra il cemento dell’intonaco, soprattutto nei basamenti degli edifici, è dovuto in parte anche al fatto che i pianterreni dei palazzi sono spesso vittime di writers e artisti improvvisati, ben distanti dall’ideale artistico che ha dato – nel tempo – una nuova vita e un aspetto cromatico felice a contesti come la via San Saturnino, la Galleria del Sale e alcune facciate cieche di edifici della periferia rivalorizzate proprio da quelle che possono essere considerate opere d’arte. Più spesso, invece, e proprio nel centro storico, si assiste alla deturpazione dei piani bassi dei palazzi con tag realizzati a volte con spray e altre con pennarelli, con scritte e motti che nulla hanno a che vedere con l’arte ma con il solo egocentrismo di chi li realizza e col vandalismo nel quale si sfocia. Una volta realizzate, le scritte sui muri sono difficili da nascondere se non sovrapponendo più e più strati di vernice del colore originario attraverso i quali, col tempo, le scritte nascoste tornano sempre e comunque ad emergere. Ragion per cui, spesso, si opta per una tonalità grigia più o meno scura con la quale è possibile nascondere simili scempi una volta operati. In questi casi, giustamente, la colpa non è del gusto di chi ha scelto il grigio ma dei vandali e dell’assenza di controllo. E di senso civico.

Trascuratezza e carenza di gusto
Questa è forse la motivazione principale e affonda le sue radici nell’esser stati abituati – dal dopoguerra e relativa ricostruzione in poi – al grigio dei palazzoni di periferia e non solo, anche nel pieno del centro storico come avvenuto, ad esempio, con la sostituzione della distrutta Chiesa di Santa Caterina dei Genovesi con un ampio edificio dalle linee sobrie realizzato ad uso prevalentemente commerciale e per uffici, completamente grigio dalla base al colmo della copertura. Stesso destino peraltro toccato al Palazzo Serra di via Fossario e ad altri edifici di pregio la cui memoria è stata sepolta sotto strati di laterizi e cemento coperti da un velo grigio tanto anonimo quanto inappropriato al contesto. Pertanto, non ci si è mai stupiti per la mancata ritinteggiatura di fabbricati del centro storico dove ci si è limitati a stendere il solo strato di intonaco senza mai optare per la scelta cromatica i cui campioni sono ancora dipinti sulla base degli edifici. Allo stesso modo, nessuno si è mai scandalizzato per sopraelevazioni di palazzi antichi con strutture in blocchetti di cemento lasciati a vista o con il solo intonaco, in attesa di un restauro globale del fabbricato dal quale ci si attendeva una successiva armonizzazione dell’insieme (spesso mai avvenuta).


Le riproduzioni in miniatura dell’esemplare di lusso

Palazzo Doglio

E qui si ricade in una vera e propria piaga quasi peggiore di quella dei “Palazzinari” (che tanto danno hanno arrecato al centro storico e ai quartieri limitrofi): gli emulatori.
Tutto ha origine con il recupero e la riqualificazione di Palazzo Doglio, il cui restauro conclusosi poco più di due anni fa ha restituito dignità ad un edificio che i restauri degli anni ’90 avevano trasformato in un casermone giallo e grigio destinato ad uso ufficio. Con il suo recupero e la sua trasformazione in albergo a 5 stelle, l’improponibile color senape degli anni ’90 ha lasciato il posto ad una più sobria tonalità beige su cui spiccano le modanature color panna. Una scelta che, piaccia o meno, appare comunque adeguata ad un edificio dalla mole così imponente su cui ogni tonalità più accesa sarebbe stata eccessiva. Se però tale scelta è condivisibile per un edificio del genere, molto più pericolosa – per gli effetti che sta avendo sulle facciate del centro storico – è l’equazione mentale secondo cui “se nel restaurare la mia piccola palazzina le applico sopra il grigio o il beige come nell’albergo di lusso, allora anche la mia modesta abitazione d’epoca apparirà come un edificio moderno e lussuoso”.

Palazzo Doglio

E no, purtroppo non funziona così e i piccoli edifici che si vogliono così valorizzare finiscono per essere tutti uguali tra loro e sempre più anonimi in rapporto anche alle loro ridotte dimensioni. Ecco quindi che i nuovi proprietari di piccole palazzine a schiera del centro storico, nel tentativo di rendersi “unici” e “possessori di una dimora di lusso”, non solo rovinano un contesto urbano fatto di colori – nel quale ogni edificio al tempo stesso dialogava e contrastava con quelli accanto e quelli di fronte – bensì, proprio per il mancato rispetto del canone dell’epoca in cui fu realizzato (poiché il grigio viene sparso indiscriminatamente su edifici del ‘600 come su palazzine ottocentesche o su fabbricati liberty o razionalisti nei quali invece il colore era una nota caratterizzante) ne viene a ridurre il valore non solo storico ma, forse, anche economico. Volendo infatti rivendere l’edificio, chi pagherebbe di più per un palazzo in cui sembra ci si sia dimenticati di dare il colore all’intonaco solo per il gusto del vecchio proprietario che voleva imitare un albergo di lusso?


Questa considerazione è soprattutto un invito alla riflessione per quanti si approcciano al restauro di un immobile: per quanto cercherete di crearvi il vostro Palazzo Doglio in miniatura, no: non potrete comunque dare ad un dignitoso, piccolo edificio un tempo rosa o giallo o rosso, verde, nocciola, ocra o pastello quel mix di eleganza e modernità del prototipo originario (mix che va bene solo in quel caso e con quella destinazione d’uso). Meglio invece rispettare l’aspetto originario dell’edificio che si va a recuperare, far sì che – come avveniva in passato – si distingua per una sua originalità anche cromatica, armonizzandolo col contesto ma al tempo stesso rendendolo unico qual era, non un piatto palazzotto grigio…



I recenti superbonus 110%
E questa è la più recente tra le motivazioni per cui si ricorre al grigio nei palazzi che stanno venendo restaurati. Il superbonus è stato ideato con lo scopo di ridurre i consumi energetici regolando termicamente degli edifici che, in origine, spesso erano già termo-isolati: gli intonaci a base di calce aerea erano molto più isolanti del semplice cemento usato ora e molto più funzionali nel far traspirare gli edifici eliminando l’umidità di risalita; inoltre, un tempo, i sottotetti degli edifici avevano lo scopo di isolare dal freddo in inverno e dal caldo in estate, funzione venuta meno con l’abbattimento delle controsoffittature allo scopo a volte di mettere in luce soffitti in legno a vista, altre volte per ottenere altezze maggiori onde consentire la realizzazione di soppalchi; l’apertura di ampi lucernari onde illuminare i nuovi spazi ha compromesso ulteriormente la funzione termo-isolante delle coperture. Il nuovo isolamento termico, il cosiddetto “cappotto”, è realizzato applicando sulle murature esterne un materiale isolante che, però, necessita di una intonacatura particolare, sulla quale si può applicare una ridotta tavolozza cromatica dove il grigio è la scelta predominante. Anche gli altri colori, solitamente tinte che vanno dal rosso all’ocra, sono comunque ben distanti dalle tonalità originarie a cui si rifanno.


Persino a Palazzo Viceregio...

Persino al Palazzo Viceregio…

Se tutto ciò avviene su edifici privati, bisogna però osservare che anche nei restauri di edifici monumentali e pubblici il grigio e il bianco ospedaliero si stanno imponendo come valore cromatico primario, in luogo di colori un tempo più vari e vividi.
Ecco, quindi, che la Chiesa di Sant’Eulalia, i cui esterni originariamente erano dominati dal giallo (colore che sopravvive oggi nel solo campanile) è stata completamente imbiancata senza distinzione alcuna tra le decorazioni in rilievo come gli archetti pensili del prospetto e il campo di fondo della facciata. Anche la sua cupola, un tempo rivestita di maioliche azzurre, è passata prima per una tonalità rosata per poi diventare bianca in ogni suo dettaglio.

Esterni della Chiesa di Sant’Eulalia, nel loro nuovo bianco-ospedaliero

Sant’Anna, e il bianco-grigio della fiancata

Il bianco ha rivestito completamente anche gli esterni delle fiancate della Collegiata di Sant’Anna, laddove le tinte calde con modanature chiare sarebbero apparse ben più adeguate e rispettose dell’aspetto originario dell’edificio che, oggi, ha quasi la freddezza asettica di una clinica bianca con cupole rivestite di guaina verde e metallo ossidato (sempre verde) in luogo di coperture in maiolica un tempo presenti e visibili tuttora solo sui campanili della Chiesa. E questo è uno degli sfregi perpetrati già dalla ricostruzione post-bellica quando, nel ripristinare le cupole danneggiate, si è sostituita la maiolica originaria con il bronzo ponendo fine a quel dialogo cromatico che accomunava le tre cupole di Sant’Anna con quella di San Michele e quella di Sant’Efisio rendendo armonico il panorama di Stampace alto per chi lo osserva da Castello. I recenti restauri alla Chiesa di Sant’Anna avrebbero potuto finalmente ripristinare l’aspetto originario con la copertura a scaglie nelle cupole e una delicata bicromia sulle murature, ma il bianco e il verde sembrano voler assurgere a nota distintiva dando così alla chiesa l’aspetto di un edificio barocco della campagna austriaca o tedesca in luogo dell’originario stile tardo-barocco di matrice piemontese, caratterizzato da tinte più calde.

Palazzo Costa-Marras

Anche laddove la ricostruzione postbellica ha avuto dei risvolti felici, purtroppo la tendenza al grigio e la trascuratezza di questi ultimi anni hanno rovinato edifici moderni ben integrati nel contesto. Si pensi infatti al Palazzo Costa-Marras tra Largo Carlo Felice e via Dettori: un bell’esempio di architettura del dopoguerra progettato da Ubaldo Badas e caratterizzato dal rivestimento in piastrelle color mattone scuro sulle quali risaltavano i bassorilievi di Giacomo Silecchia (peraltro oggi quasi neri perché mai ripuliti dalla sporcizia e dallo smog che li rivestono, mentre si possono ancora intuire i personaggi rappresentati e i colori vivaci attraverso qualche “vuoto” nella sporcizia). Oggi le sculture sopravvivono nella loro sede originaria, ma si stagliano su una piatta distesa di grigio dopo l’assurda distruzione del rivestimento in piastrelle. Il risultato è un palazzo che sa di incompleto, una struttura “non-finita” scempiata in attesa che si rimetta mano alle sue facciate onde ricomporne lo stato originario. Il grigio non è, come detto, una sola scelta cromatica: è, molto più spesso, sciatteria e carenza di gusto per il dettaglio…

L’ultima vittima illustre del dilagare del bianco-grigio è la chiesa di Santa Lucia in Castello, il cui prospetto un tempo giallo al pari di quello dell’attiguo ex convento delle clarisse, ora scuola materna, è stato rivestito di uno strato di grigio tanto insipido quanto anonimo che dona alla chiesa l’aspetto di un albergo che replica anch’esso nei suoi non-colori quello del Palazzo Doglio.

Santa Lucia in Castello e l’attiguo ex Convento delle Clarisse. Che ci si sia dimenticati di dar loro il colore?

Portale dell’Ex-Caserma San Carlo

Un esempio di quanto la necessità di “tinte neutre” sia radicata nella cultura e nell’estetica contemporanee può essere anche l’episodio che ha visto protagonista il portale dell’ex Caserma San Carlo in via Santa Croce. Da anni in stato di abbandono, con continue minacce di crolli, nel 2021 finalmente è stato recuperato. Il restauro non è stato del tutto apprezzabile nella tecnica, questo va riconosciuto, ma il clamore che si venne a generare sul restauro non riguardava la scelta del materiale di rivestimento e il modo stesso in cui è stato applicato, bensì i colori scelti per il portale: rosso con modanature bianche. Commenti, petizioni e ogni singola possibilità di protesta si sono alzati fino a che il portale non è stato ricoperto di una tinta beige, neutra, indistintamente sparsa sia sugli elementi in rilievo che sul fondo intonacato. Eppure, basta guardare una singola foto dell’anno precedente per poter riconoscere, sotto lo strato di polvere e smog depositati sull’intonaco antico, il colore rosso per le campiture e una tinta più chiara sulle modanature. Poco importava se era il restauro in sé a non apparire adeguato al portale, il crimine sembrava esser dettato dal colore. Dal colore! Sembra proprio che i monumenti debbano essere tutti uniformi, monocromatici e neutri. Guai a rispettare una policromia: il rosso non è di moda. Il beige sì…

Ovviamente, a queste considerazioni si può obiettare con un “ma uno potrà fare ciò che vuole nella facciata di casa sua?”
La risposta è al tempo stesso un sì e un no (si veda l’esempio precedente per capire come l’opinione pubblica può influire su scelte private), perché se da un lato va rispettato il diritto di un proprietario a godere di un suo bene nel modo che preferisce, dall’altro bisogna dover riconoscere che l’esterno di un edificio – soprattutto nel centro storico – non è un’entità a sé ma fa parte di un contesto, di un organismo complessivo strutturatosi in secoli di adeguamenti e regolamentazioni. E se, in origine, erano le “commissioni del bello” a vigilare sul decoro degli esterni, onde donare alle vie cittadine un aspetto più elegante ma sempre rispettoso dell’insieme, oggi quel compito dovrebbe essere assolto dai piani paesaggistici, dai progetti di recupero dei centri storici e soprattutto vigilati dalle Soprintendenze, perché l’aspetto di una strada è bene pubblico, non è solo la somma delle scelte di ogni singolo proprietario.


Purtroppo, in città come Cagliari, dove il turismo decolla a stento e dove il centro storico è già stato in parte compromesso dagli eventi passati, è difficile attuare questi principi. Ma immaginate di esser liberi di scempiare un palazzo sul Canal Grande o su Piazza di Spagna, o in Piazza Navona o in altre strade celebri, stendendovi sopra un anonimo strato grigio: pensereste ancora che si tratta del diritto di un singolo a decidere per sé anche laddove compromette un assetto urbano da sempre apprezzato? E avreste davvero il coraggio di optare per quel grigio in luogo di un colore originario ben definito come fate sugli edifici di Cagliari perché “tanto sono a Cagliari”, oppure la bellezza stessa del contesto vi indurrebbe al rispetto? Perché non pensare che anche i nostri edifici meritino lo stesso valore con il quale stimereste edifici di altri luoghi più illustri?


Temo che, purtroppo, ci si renderà conto di ciò solamente quando Cagliari, celebrata per i suoi colori, sarà una distesa in bianco e nero di edifici tutti uguali. E il ritorno all’aspetto originario non sarà più così facile…

Nota bene: le foto, ad eccezione di alcune, sono pubblicate in ordine sparso, per cui non si sta attribuendo il grigiore di un edificio ad una particolare motivazione tra le diverse prese in esame: nessuno si senta quindi offeso per le sue scelte cromatiche che, magari, anziché esempi di pessimo gusto sono una risposta al vandalismo ;
In ogni foto sono stati censurati i numeri civici, le insegne dei negozi, le targe dei veicoli e i volti dei passanti. Non vi è quindi motivazione per la rimozione di una sola o più foto: fotografare le vedute esterne di un edificio – laddove non si mostri la vita privata che vi si svolge all’interno – non è reato.




Facebook Comments Box