L’Angelo del Dolore nel Cimitero Acattolico di Roma

Quando si parla di Monumenti Funebri sono due le sculture che balzano subito alla nostra mente, per la loro intesità espressiva e per l’innegabile fascino che le ammanta: L’Angelo del Dolore, scolpito nel 1894 da William Wetmore Story per sua moglie Emelyn Eldredge Story, nel Cimitero Acattolico di Roma, e l’Angelo della Resurrezione – più comunemente noto come Angelo di Monteverde – nella Tomba Oneto del Cimitero di Staglieno a Genova, realizzato dallo scultore Giulio Monteverde nel 1882.
Come si è appena detto, l’Angelo di Monteverde si trova nella Tomba Oneto di Staglieno, ma non si può propriamente dire che vegli sull’eterno riposo dei defunti ivi sepolti, al contrario sembra distaccato rispetto al dolore della Morte, è completamente assorto nelle sue riflessioni. Le critiche furono da subito concordi nel riconoscere il capolavoro di Monteverde come un punto di rottura con l’iconografia tradizionale, puramente Cristiana, dell’Angelo come figura eterea, d’aspetto maschile, confortante e protettrice.

L’Angelo di Monteverde (©Matteo Sartori)

L’Angelo di Monteverde è bensì una figura androgina che appare quasi smarrita, è ferma con le spalle rivolte alla tomba che custodisce, o che dovrebbe custodire, quasi come volesse cercare di trovare una sua strada, capire dove andare: in ciò è chiara l’intenzione dello scultore di rappresentare un’anima che è ancora sospesa tra la Vita e la Morte, indecisa sul cammino che sta per intraprendere. È pur vero che l’Angelo regge in una mano la Tromba del Giudizio, ma il suo gesto mostra esplicitamente l’intenzione di non suonarla: non solo la tiene parallela al fianco, rivolta verso il basso, ma con un dito ne chiude il bocchino, come a voler evitare che anche un soffio d’aria possa involontariamente far scaturire un suono dal suo strumento.
Da subito l’Angelo di Monteverde si impose come una delle immagini più forti e suggestive tra le sculture funebri, e venne elogiato per la sua bellezza e l’armonia, e per il dialogo silente che sembra instaurarsi con l’osservatore che, a sua volta, si ritrova coinvolto nello smarrimento della splendida scultura.
Con queste premesse, non poteva non diventare un modello replicato in tutto il mondo e non solo a scopo funebre. Cagliari non fece eccezione, e oggi al Cimitero di Bonaria è possibile osservare due opere derivate dal capolavoro di Monteverde. La più vicina in ordine temporale è la tomba della Famiglia Toro-Mela, realizzata negli anni ’20 in origine per accogliere le sepolture di Giannetta e Gaetanina Toro Mela. Purtroppo il basamento oggi è mancante di una delle due fotoceramiche, ma è fortunatamente ancora presente il bellissimo ritratto di Gaetanina.

Tomba della Famiglia Toro Mela nel Cimitero di Bonaria

Il monumento è composto da un ampio basamento su cui posa un obelisco, con i nomi e le date di nascita e morte delle defunte oltre alle già citate fotoceramiche, sormontato dalla scultura che replica, nelle forme ma non nelle dimensioni, l’Angelo di Monteverde. Naturalmente la copia cagliaritana non ha la pretesa di affascinare come l’originale scultura genovese, e pecca di alcune goffaggini esecutive che ne aumentano la distanza qualitativa rispetto al modello da cui deriva: la tromba è sproporzionata e appare pesante rispetto al leggiadro strumento dell’Angelo di Monteverde, inoltre l’Angelo cagliaritano la tiene saldamente in mano ma non mostra la bellezza simbolica del gesto con cui la scultura genovese chiude il bocchino della tromba per evitare che il suono possa originarsi anche in modo involontario; anche l’esecuzione scultorea della capigliatura, per quanto simile, non raggiungerà la perfezione dei dettagli dell’opera Monteverdiana, la bellezza di quei boccoli splendidamente resi con abili colpi di scalpello. Ciò che è importante però, al di là della qualità esecutiva, è il riconoscimento della committenza cagliartana verso un’opera di elevato pregio che già allora aveva originato quasi un centinaio di repliche.

Il monumento funebre di Marina Bellegrandi, opera di Giuseppe Sartorio del 1888

La seconda opera ad avere uno stretto rapporto con l’Angelo di Monteverde è uno dei capolavori di Giuseppe Sartorio: l’Angelo di Marina Bellegrandi, sul quale torneremo a breve anche per un altro post futuro.
L’Angelo di Marina Bellegrandi, opera del 1888, è tra le più antiche fra le opere realizzate dal Sartorio per il Cimitero Monumentale di Bonaria, ma – a differenza dell’Angelo di Monteverde – non è un esemplare unico, bensì un’opera che il Sartorio replicò in diverse occasioni per altri Cimiteri Sardi e Italiani (sono presenti copie nel Cimitero di Sassari, in quello di Ozieri, a Torremaggiore in provincia di Foggia, e nel più celebre Cimitero del Verano a Roma). Sartorio giunse in Sardegna nella metà degli anni ’80 dell’800, e il primo lavoro che gli venne commissionato fu il Monumento a Quintino Sella per la piazza dedicatagli ad Iglesias, nel 1885: da quel momento si impose come uno dei massimi protagonisti della scultura Sarda nel periodo di transizione dal classicismo all’epoca Liberty. Il Monumento Funebre di Marina Bellegrandi è di pochi anni successivo al monumento Iglesiente quindi può annoverarsi tra le prime opere sarde dello scultore piemontese. Sartorio, ormai sull’onda dell’opera realizzata dal Monteverde, interpreta anche lui lo smarrimento dell’Angelo, ma con alcune differenze rispetto all’opera Monteverdiana: anche l’Angelo cagliaritano è una figura androgina ed è altrettanto sperduto dell’Angelo di Staglieno, ma mentre nell’opera genovese è fermo in piedi come indeciso ad effettuare un primo passo verso il mistero dell’oltrevita, nell’opera di Sartorio sembra essersi preso in modo evidente il suo momento per riflettere. È difatti seduto, ha deciso in modo esplicito di non proseguire quel cammino, e la posa della testa poggiata sulla mano mostra chiaramente la volontà di riflettere sul mistero al quale sta per iniziarsi. Al pari dell’Angelo di Monteverde, l’Angelo del Sartorio non ha intenzione di suonare la Tromba del Giudizio, si limita a posarvi sopra lo sguardo nelle sue riflessioni. Non ne tappa il bocchino, ma al tempo stesso l’apertura è occlusa dalla fluente capigliatura, e anche in questo caso nessun suono verrà proferito in modo involontario. Se è chiaro che il Sartorio non ha voluto creare un’opera identica a quella del Monteverde, è però evidente il fatto che ne abbia tratto ispirazione sull’onda di quella rottura con l’iconografia angelica classica operata dallo scultore genovese, a dimostrazione del fatto che Cagliari non restò mai estranea alle correnti artistiche che andavano manifestandosi nel continente anzi, proprio in quegli anni la Città si preparava a diventare una delle protagoniste italiane dell’epopea Liberty.
Un’altra copia dell’Angelo di Monteverde è osservabile a poca distanza da Cagliari, nel Cimitero di Monserrato: si tratta però in questo caso di una chiara replica degli anni ’30 dell’originale genovese, seppur anche stavolta con alcune goffaggini esecutive che abbassano il livello qualitativo dell’opera. Ciò nonostante la replica fedele può considerarsi ben riuscita, nelle proporzioni e nella resa della gestualità. Purtroppo l’opera, al pari delle poche altre sculture antiche custodite nel Cimitero monserratino, è oppressa dall’espansione piuttosto recente e appare soffocata sotto una pensilina: destino non dissimile da un’altra opera di pregio del Sartorio lì conservata, a ridosso della quale è stata realizzata una struttura sospesa che ne mortifica lo sviluppo in altezza per chi la osserva dal viale principale.

La copia dell’Angelo di Monteverde nel Cimitero di Monserrato

Tornerò a breve con un approfondito post sui Cimiteri del Cagliaritano, spero abbiate gradito la lettura di quest’ultimo e apprezzerete altrettanto i post futuri. Grazie.



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